LA PIELONEFRITE ACUTA: IL RITORNO DI FIAMMA DI UNA VECCHIA ENTITÀ CLINICA

RAZIONALE

La pielonefrite acuta rappresenta la forma più severa di infezione dell’apparato urinario. La diagnosi non è sempre agevole e la patologia non è scevra da complicanze temibili come la comparsa di ascessi renali, urosepsi  e cicatrici residue parenchimali. Pur essendo nota da più di un secolo essa presenta degli aspetti non ancora risolti riguardanti: il sensibile incremento delle forme primitive, i meccanismi patogenetici, le opzioni e la durata della terapia medica, le complicanze a lungo termine.

MATERIALI E METODI

Scopo del nostro studio è stato quello di valutare in maniera prospettica i pazienti ricoverati dal gennaio 2005 al gennaio 2013 (fig. 1) presso la nostra U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, affetti da Pielonefrite Acuta Primitiva diagnosticata sulla base di esami laboratoristici e strumentali e sull’esclusione di alterazioni anatomiche e/o funzionali dell’apparato urinario. Sono stati studiati 96 pazienti (95 F; 1M) di età media di 33±8 anni. 88 pazienti provenivano dal Pronto Soccorso del Nostro Ospedale, 7 da altri reparti.

RISULTATI

La presentazione clinica era rappresentata nella totalità dei casi da iperpiressia e dolore lombare e/o addominale; disturbi urinari erano rilevabili solo in 47 pz (45%). Tutti i pazienti presentavano un incremento della VES (in media pari a 58 ± 28 mm/h) e della PCR (in media 13.5 ± 7.9 mg%), mentre leucocitosi neutrofila era riscontrabile in 80 pz (77%). L’urinocoltura è risultata positiva in 39 pz (in 36 casi per E. Coli, 1 P. Aeruginosa, 1 S. Agalatiae e 1 K. Pneumoniae) e l’emocoltura in 9 pz (stesso germe identificato nelle urine in 6 casi). Sei pazienti presentavano un quadro di IRA risoltasi durante la degenza. L’ecografia renale è risultata indicativa di pielonefrite acuta in 25/68 casi (37%) (fig. 2). La TC addome con mdc, eseguita in 86 pz, è risultata diagnostica nel 100% dei casi mostrando monolateralità delle lesioni in 76 casi (88%) e multifocalità delle stesse in 68 casi (79%) (fig. 3 e 4). I pazienti hanno ricevuto trattamento antibiotico per via parenterale della durata di 8±2 giorni a base di chinolonici in 65 pz, aminoglicosidi in 38 pz, cefalosporine in 15 pz e carbapenemici in 13 pz; a domicilio i pazienti hanno proseguito un trattamento antibiotico per altre 2-3 settimane con chinolonici in 68 casi, aminoglicosidi in 46, cefalosporine in 27 e carbapenemici in 5. Un controllo TC a tre mesi è stato effettuato in 37 pazienti: in 18 (49%) abbiamo documentato una persistenza delle lesioni.

CONCLUSIONI

La Pielonefrite Acuta è una patologia di gran lunga più frequente di quanto comunemente ritenuto. La diagnosi non sempre è agevole e pone problemi di diagnosi differenziale con numerose patologie endoaddominali. La febbre, l’aumento degli indici di flogosi e il dolore addominale e/o lombare, pur in assenza di disturbi urinari, devono porre il sospetto di malattia. La TC addome rappresenta il gold standard per lo studio della pielonefrite acuta, mentre l’ecografia addominale mostra una bassa specificità e sensibilità. È necessaria una terapia antibiotica che generalmente va continuata per 3-4 settimane. La diagnosi di guarigione deve tener conto, oltre alla scomparsa dei segni clinici e alla normalizzazione dei dati laboratoristici, anche della scomparsa delle lesioni documentate radiologicamente. Ancora incerto risulta il significato della persistenza delle lesioni pur in assenza di manifestazioni cliniche. È in fase di valutazione una più precisa caratterizzazione degli agenti microbiologici causali.