TRATTAMENTO CON RITUXIMAB IN PAZIENTI CON GLOMERULONEFRITI PRIMITIVE E SECONDARIE : RISPOSTA TERAPEUTICA IN SEGUITO AD UNA SINGOLA SOMMINISTRAZIONE

Introduzione

  • Il Rituximab si è dimostrato farmaco efficace nel trattamento di alcune glomerulonefriti primitive e patologie sistemiche immuno-mediate con coinvolgimento renale.
  •  Inizialmente utilizzato con schemi a più somministrazioni prendendo spunto dalla terapia del linfoma (375 mg/m2 per 4 somministrazioni), oggi sempre più spesso si ricorre alla mono-somministrazione o allo schema reumatologico (1 g x 2 somministrazioni).

Scopo dello studio

Verificare la risposta terapeutica al rituximab rispetto all’andamento dei linfociti CD19+ in una casistica eterogenea di pazienti affetti da glomerulonefriti primitive e secondarie.

Pazienti e Metodi

  • Studio retrospettivo, monocentrico.
  • 17 pazienti (età media 60,01 ± 14,36 anni, M/F: 8/9) trattati con rituximab in mono somministrazione o somministrazioni ripetute tra il Giugno 2009 e il Luglio 2013 (follow-up mediano di 9,86 mesi, range 15 giorni, 47 mesi). I pazienti con meno di 1 mese di follow-up (n=3) sono stati esclusi dalla valutazione di efficacia, mentre sono stati considerati per la safety.
  • In corrispondenza della prima randomizzazione di rituximab (baseline) e durante il follow-up, sono stati eseguiti il dosaggio dei linfociti CD19+, creatinina plasmatica, proteinuria, markers biochimici di malattia).
  • Sono stati raccolti dati clinici inerenti a eventi avversi riconducibili o meno al trattamento con rituximab.

Risultati

  • Nel corso del follow-up sono state effettuate 29 somministrazioni di rituximab (media per paziente 1.64 trattamenti); 11 pazienti (65%) sono stati trattati in monosomministrazione. In 2 pazienti (1 Wegener, 1 LES) il rituximab è stato effettuato con schema reumatologico (2 somministrazione a distanza di due settimane).
  • Il dosaggio medio per somministrazione è stato di 716 ± 187 mg, il dosaggio cumulativo medio per paziente è stato di 1208 ± 775 mg (min 375 mg, max 1000 mg).
  • L’indicazione alla terapia è stata fatta in base alla refrattarietà a schemi terapeutici convenzionali, o controindicazione assoluta/relativa alla terapia convenzionale.

Andamento dei linfociti CD19+ dopo rituximab

  • 6 pazienti (tutti trattati in precedenza con terapia steroidea +/- immunosoppressiva) avevano linfociti CD19+ < 200 cell/m3 prima della somministrazione del farmaco. Non si sono verificate complicanze infettive in questi pazienti.
  • Nel corso del follow-up 7 pazienti hanno avuto una ripresa dei livelli di CD19+ ≥ 5 cell/mm3 in un tempo variabile tra 1.86 mesi e 19,9 mesi (mediana 5.73 mesi) (Figura 0).
  • I restanti 10 pazienti hanno mantenuto livelli di CD19+ < 5 cell/mm3, ma in 9 di loro il follow-up era inferiore ai 3 mesi o l’intervallo tra le misurazioni non consentiva una valutazione adeguata. Un paziente affetto da crioglobulinemia ha mantenuto livelli sempre inibiti di CD19+ (3 somministrazioni).
  • L’andamento dei CD19+ era in relazione alle recidive cliniche e/o laboratoristiche in 3 su 8 pazienti con dati valutabili (Figura 1)

Eventi avversi nel corso del follow-up

* 12 eventi avversi in 7 pazienti

Organo

N Descrizione Commento Relazione al farmaco
Cute 2 Vescicole pruriginose Possibile
Infezioni 5 Polmonite (4), Sepsi (1) 1 polmonite a distanza di mesi Possibile
Sistema Nervoso 1 Sincope in LES A 2 settimane da RTX Possibile
Cuore 1 Fibrillazione Atriale Durante RTX Possibile
Ematologia 1 Piastrinopenia autoimmune A mesi dal trattamento Poco probabile
Febbre 1 Durante RTX SI
Decesso 1 EPA cardiopatia ischemica nota Non relato

Discussione

  • Dall’analisi di questa categoria eterogenea di pazienti trattati con rituximab, emerge che tale terapia risulta efficace in molti casi.
  • L’andamento dei CD19+ non sempre è correlato all’andamento della malattia e/o a eventuali sue recidive, ma in alcuni casi l’aumento dei CD19+ precede la comparsa delle manifestazioni cliniche o di laboratorio.
  • Diversi pazienti presentano un deficit dei linfociti CD19+ prima d’iniziare la terapia. Studi ulteriori dovranno valutare se i livelli basali di CD19+ possono influenzare l’efficacia della terapia con rituximab o esporre a un rischio aumentato di complicanze infettive.
  • Globalmente il farmaco è ben tollerato. Tuttavia, come evidenziato dalla nostra piccola casistica, sono possibili complicanze anche serie, che impongono un attento monitoraggio dei pazienti trattati.

Conclusioni

  • Come già suggerito in letteratura, l’utilizzo in monosomministrazione del rituximab sembra essere un’opzione efficace, anche a luce degli elevati costi della terapia.
  • La necessità di somministrazione ripetute sembra essere poco prevedibile. Tuttavia, in accordo con la letteratura, i pazienti reumatologici sembrano beneficiare di dosaggi maggiori e somministrazioni ripetute.
  • La relazione tra andamento dei linfociti CD19+ nel tempo e recidiva di malattia è debole. La decisione di ripetere il trattamento deve quindi tenere conto soprattuto di altri fattori clinici e/o laboratoristici.