PERITONITE DIALISI PERITONEALE CORRELATA DA OERSKOVIA XANTHINEOLYTICA: SALVATAGGIO DEL CATETERE… E DEL PAZIENTE CON L’ASSOCIAZIONE LINEZOLID-RIFAMPICINA

INTRODUZIONE

Il genere Oerskovia(OER), appartenente alla classe degli Attinomiceti (Cruickshank JG – 1979), [1] (full text)comprende due specie: O. Turbata(OT) e O. Xanthineolytica(OX), altrimenti classificate come Cellulosimicrobium Funkei e Cellulosimicrobium Cellulans (Rowlinson MC – 2006) [2] (full text). Entrambe si comportano solo raramente, e solo in determinate condizioni, come germi patogeni. Ciò avviene, infatti, per lo più, in soggetti immunocompromessi e/o portatori di corpi estranei quali: cateteri venosi centrali(Rowlinson MC – 2006 [2] (full text)), protesi valvolari (Reller LB -1975) [3] o articolari(Harrington RD – 1996) [4] (full text) e cateteri per dialisi peritoneale (Rihs JD – 1990). [5] (full text). Si tratta di  microrganismi Gram positivi descritti per la prima volta da Orskov nel 1938 e isolati nel terreno, nei pascoli e nell’acqua provenienti da diverse parti del mondo(Prauser H – 1970) [6]. In qualche caso, l’origine del contagio è stata correlata alla residenza o all’attività lavorativa svolta in zone rurali. Nonostante le possibili difficoltà diagnostiche per la somiglianza con Corynebacterium spp( diphteroides), comune contaminante cutaneo, le colonie di OER ,dopo la semina in piastra,  si distinguono per il caratteristico color giallo brillante e per la presenza di ife vegetative ramificate che penetrano in agar (Rihs JD – 1990). [5] (full text). Allo stato attuale, sono noti  solamente cinque casi di peritonite correlate a dialisi peritoneale(DP), ascrivibili a questi Attinomiceti, di cui quattro da ricondurre alla specie OX (Rihs JD – 1990). [5] [7] (full text)(Borra S – 1996) [8], (Lujan-Zimmerman J – 1999) [9], (Mojano MJ- 2010-Poster VII Reunion nacional  de Dialisis peritoneale)  e uno a quella OT (Betancourt Castellanos L- 2011). [10] (full text). In tre casi su cinque, solo la rimozione del catetere ha consentito di ottenere la completa guarigione clinica.

Il Linezolid è un antimicrobico di sintesi, appartenente alla classe degli ossazolidinoni, i cui membri sono in grado di inibire diversi ceppi di microrganismi multiresistenti, prevalentemente gram positivi, presentando un’attività batteriostatica che, a determinati dosaggi e in relazione ad alcuni ceppi, può diventare battericida. Nello specifico, l’azione antimicrobica, si espleta, con meccanismo peculiare, attraverso l’inibizione della sintesi proteica a livello ribosomiale (Saini JS-2013) [11].

La Rifampicina è un antibiotico appartenente alla classe delle Rifamicine attivo verso un ampio spettro di batteri comprendenti Gram positivi, Gram negativi, anaerobi e micobatteri, compreso il M.Tubercolosis.
Grazie all’elevata liposolubilità penetra, agevolmente, nelle cellule eucariotiche, espletando efficacemente anche un azione antibiotica diretta verso i microrganismi intracellulari attraverso l’inibizione selettiva della RNA polimerasi DNA dipendente batterica.

L’associazione Linezolid/Rifampicina viene utilizzata per combattere le infezioni da Gram positivi di un certo impegno clinico. È stato recentemente dimostrato che l’uso combinato dei due farmaci può prevenire, almeno in vitro, la comparsa di mutazioni in grado di indurre resistenza alla Rifampicina (Grohs P – 2003) [12] (full text)(Gander S – 2002) [13] (full text), (Spanogiannopoulos P – 2012) [14] (full text)

D’altro canto, la stessa associazione può provocare la riduzione di concentrazione plasmatica del Linezolid sino al 35% (Gebhart BC – 2007) [15]. Questo non determinerebbe, comunque, alcun impatto negativo sull’efficacia finale della terapia. Inoltre, l’associazione ha un effetto protettivo sulle complicanze ematologiche, in particolare l’anemia, indotte dal Linezolid, probabilmente grazie all’aumento della clearence non renale del farmaco (Soriano A – 2007) [16] (full text)

Inoltre, la farmacocinetica, associata all’ottima diffusione peritoneale, di entrambi i principi attivi, consentono di non effettuare aggiustamenti rispetto ai dosaggi comunemente usati in assenza di compromissione della funzionalità renale (DePestel DD – 2003) [17], (Pea F – 2012) [18] (full text)

CASO CLINICO

Descriviamo di seguito il caso di un paziente maschio di 64 anni, con una storia di ADPKD, IPA ed emiplegia sx in esiti di emorragia cerebrale. A partire dall’agosto 2008, ha iniziato il trattamento dialitico peritoneale in CAPD per passare, dopo un breve periodo, a metodica automatizzata notturna con addome pieno in stasi diurna(CCPD). Nel corso del tempo, ha presentato alcune peritoniti da patogeni comuni e da Corynebacterium spp che si sono manifestate con periodicità biennale e si sono tutte risolte con la sola terapia medica. Nella primavera del 2010, è stata posta diagnosi di K papillifero uroteliale trattato con resezione endoscopica e cicli di instillazione chemioterapica endovescicale.

Il 25 giugno 2012, si è presentato presso il nostro Ambulatorio di Dialisi Peritoneale con sintomatologia clinica suggestiva per infezione peritoneale. Si procedeva , per questo, alle indagini laboratoristiche e microbiologiche secondo protocollo vigente presso il Centro seguite da trattamento antibiotico empirico(vancomicina + tobramicina I.P.) e sostituzione del set di trasferimento. Il paziente, nel frattempo, veniva shiftato in CAPD. In seconda giornata veniva comunicata la positività per la colorazione di Gram ed in quarta giornata veniva preliminarmente comunicata la presenza, nella prima coltura, di Oeskorvia xanthyneolitica(OX). Si discontinuava per questo la tobramicina e, nell’attesa del successivo antibiogramma di conferma, si integrava la terapia antibiotica con Cotrimossazolo per os come da indicazioni della letteratura [7] (full text)(Rihs JD – 1990). [7] (full text) [7] (full text)full text), (Maguire JD – 1996) [7] (full text), (Betancourt Castellanos L- 2011) [10]. Due colture del liquido peritoneale(LP), effettuate appena successivamente, confermavano nuovamente la positività per lo stesso germe per il quale diveniva contestualmente disponibile anche l’antibiogramma. Sulla base di quest’ultimo, in diciassettesima giornata dall’esordio, a paziente paucisintomatico, con a disposizione un’unica coltura del LP negativa, ma con la consapevolezza delle scarse possibilità di eradicazione definitiva del germe, si decideva di sospendere la precedente associazione e si iniziava terapia orale con Linezolid 600 mg bid + Rifampicina 300 mg bid, supportati da Fluconazolo per os come profilassi antimicotica.

Si assisteva così, finalmente, ad un progressivo miglioramento clinico suffragato da numerose colture del LP ripetutamente negative che consentivano di sospendere  la terapia antibiotica in corso e considerare il paziente definitivamente guarito dopo poco più di un mese di trattamento complessivo.

CONCLUSIONI

In conclusione, tra i patogeni emergenti, OX è risultata raramente implicata nelle infezioni in DP, ma ha comportato, nella quasi totalità dei casi, il ricorso alla rimozione del catetere per la risoluzione del quadro clinico. Questo è avvenuto nonostante si sia ricorso sistematicamente ad una duplice terapia antibiotica, avente come caposaldo la Vancomicina, e, in un caso, integrando il trattamento con un terzo antimicrobico (Betancourt Castellanos L- 2011) [10]. La sensibilità antibiotica in vitro, infatti,  può risultare molte volte confortante, ma, pur non trattandosi di un germe  particolarmente virulento (Rowlinson MC – 2006) [2], l’efficacia, in vivo,  può risultare decisamente modesta. Linezolid e Rifampicina sono singolarmente molto efficaci nelle infezioni da germi Gram positivi; l’associazione dei due farmaci si è dimostrata sinergica, sicura e ben tollerata anche per un periodo di trattamento relativamente prolungato e rappresenta un’opzione efficace in DP, ma anche in altri ambiti clinici, visto il numero crescente di pazienti immunocompromessi e/o portatori di materiali protesici.