Razionale
Gli eventi cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte con rene funzionate nel paziente trapiantato [1]. Le strategie di riduzione del rischio rappresentano un efficace intervento terapeutico per ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari [2] (full text). Il controllo dei fattori di rischio è alla base delle prevenzione indicata dalle correnti linee-guida (K-DIGO 2009) per la riduzione della morbilità e mortalità cardiovascolare post-trapianto [3] (full text).
Casistica e Metodi
Abbiamo condotto uno studio osservazionale prospettico su 150 trapiantati da donatore cadavere reclutati tra il 2005 e il 2015 per valutare l’andamento degli indicatori di rischio cardiovascolare (pressione arteriosa, Hb1Ac, LDL e BMI) indicati nelle K-DIGO 2009. Abbiamo inoltre condotto un’analisi longitudinale per valutare il grado di adesione alle raccomandazioni delle linee guida. Per l’analisi dei dati, oltre alle statistiche descrittive, abbiamo utilizzato test per trend e modelli lineari misti sia per variabili categoriche che continue.
Risultati
Durante in follow-up l’impiego di farmaci anti-ipertensivi è aumentato significativamente (p<0.05) e lo stesso trend (p<0.01) si è evidenziato per l’impiego di ipolipemizzanti. Tuttavia, solo il 40% dei pazienti aveva valori di PA ben controllati e solo il 20% manteneva valori di LDL <100 mg/dl. Per quanto riguarda la glicemia, sia nei pazienti con DM prima del trapianto, che in quelli che con DM post-trapianto, i valori medi di Hb1Ac si mantenevano tra 6,5-7,5%, in linea con quanto suggerito dalle linee guida. Abbiamo osservato una stabilità del BMI con valori medi tra 23 e 26 Kg/m2 per femmine e maschi rispettivamente.
Conclusioni
In linea con la letteratura i nostri dati confermano un significativo “gap” tra raccomandazioni e pratica clinica riguardo il controllo della PA e della dislipidemia [4]. Mentre abbiamo osservato un adeguato controllo della glicemia e del peso corporeo. La difficoltà nel conseguire gli obiettivi delle KDIGO potrebbe essere in parte riconducibile ad un fenomeno di “inerzia clinica” oltreché agli inevitabili effetti avversi del trattamento immunosoppressivo.