LA SCLEROSTINA PUO’ ESSERE UN NUOVO “KEY PLAYER” NELLE CALCIFICAZIONI VASCOLARI IN CKD?

Introduzione

Alcune molecole circolanti di derivazione ossea, assumerebbero un ruolo attivo nelle interazioni  tra osso, rene e vasi. La CKD potrebbe alterarne le concentrazioni umorali [Vervloet MG [1] et Al.]. Oltre al più noto FGF-23, anche la sclerostina potrebbe essere implicata nei processi di calcificazione vascolare. Essa è una proteina che viene secreta principalmente dagli osteociti e rappresenta un importante inibitore di Wnt, interferendo con i sistemi di segnaling nella parete cellulare (figura 1). È stato dimostrato in vitro che l’esposizione ad elevate concentrazioni di sclerostina è capace di indurre la calcificazione delle cellule muscolari lisce vascolari. Alcuni risultati ottenuti con interessanti studi di proteomica hanno recentemente segnalato la presenza di sclerostina a livello della parete aortica umana (figure 2,3,4)  [Didangelos A et Al. [2] (full text). In letteratura è stato anche recentemente riportato che la sclerostina può avere un ruolo chiave come “tossina uremica” nelle diverse fasi della malattia renale cronica, non solo in corso di uremia terminale [Desjardins L. et Al. [3]]. Nei soggetti emodializzati, i livelli ematici di sclerostina si sono rivelati più elevati rispetto ai soggetti sani [Cejka D et Al [4]. In un recente lavoro sono stati valutati i livelli di sclerostina e le potenziali associazioni tra essa e alcuni marcatori di malattia vascolare e di mortalità, concludendo che gli elevati livelli di sclerostina rilevabili nei pazienti con CKD risultavano correlati con la presenza di infiammazione e di lesioni vascolari. Inoltre è stato riportato che la sclerostina risulta elevata in pazienti con calcificazioni della FAV [Balci et Al.] [5], suggerendo per essa un più ampio “ruolo chiave” in tutti i processi di calcificazione vascolare dei soggetti emodializzati [Lu KC et. Al [6] (full text). In tale ambito viene da più parti sottolineata l’utilità clinica della misurazione laboratoristica della sclerostina [Clarke BL et Al. [7]] in tutte le fasi dell’insufficienza renale cronica.

Materiali e metodi

Abbiamo condotto una ricerca su una coorte ristretta di 12 soggetti uremici cronici in trattamento emodialitico trisettimanale con le seguenti finalità: 1) valutare i livelli ematici di sclerostina per ogni singolo paziente, in fase di pre e post dialisi, in relazione ad una seduta dialitica post-intervallo corto, in condizione di ottimizzazione dialitica e di stabilità clinica (rilevate con il calcolo del KT/V e con l’indice SGA). I dosaggi sono stati effettuati presso il laboratorio del nostro istituto utilizzando il kit reattivi Human Slerostin HS EIA Kit della TECOmedical Group; 2) correlare i risultati ottenuti con i comuni dati clinici e di diagnostica laboratoristica e/o strumentale relativi ai soggetti osservati. Tra i parametri presi in considerazione, considerando che i depositi di “calcio coronarico” rappresentano il più importante dei fattori di “rischio cardiovascolare” comunemente testati, con un potere predittivo positivo variabile dal 20 al 35% ed un potere predittivo negativo vicino al 100%, abbiamo focalizzato la nostra attenzione sull’ Agatston Score ed abbiamo iniziato a sviluppare un programma di indagine diagnostica strumentale sottoponendo ogni paziente ad EBCT. Abbiamo anche preso in esame: sesso, età anagrafica, età dialitica, alterazioni metaboliche primitive: diabete, dislipidemia, l’eventuale presenza di uno stato infiammatorio, nonché i parametri “classici” del metabolismo Ca-P: calcemia, fosforemia, fosfatasi alcalina, PTH e Vitamina D. Gli obiettivi della nostra ricerca sono stati: 1) verificare se i pazienti emodializzati hanno più elevati livelli di sclerostina rispetto a quelli ritenuti come valori di normalità per la popolazione sana; 2) se i livelli sierici di sclerostina si modificano in rapporto alla seduta emodialitica; 3) se risultano rilevanti correlazioni dei livelli della sclerostina con i comuni marcatori di infiammazione e/o con i comuni indicatori di dismetabolismo; 4) se i livelli sierici di sclerostina sono suggestivi per un’eventuale correlazione con le calcificazioni vascolari.

Conclusioni

I risultati fin’ora ottenuti, pur essendo riferiti ad una casistica ridotta, sembrano confermare che i valori sierici di sclerostina tendono ad essere aumentati nei pazienti affetti da uremia terminale. Inoltre è risultato che, nella quasi totalità dei casi osservati, i livelli di sclerostina si riducono al termine della seduta emodialitica. L’entità delle calcificazioni vascolari non è risultata proporzionalmente correlata ai valori di sclerostina, in quanto in questo gruppo di pazienti esistono altri fattori indipendenti dai livelli di sclerostina che  ne promuovono lo sviluppo e la progressione. Ci attendiamo che nel prosieguo della nostra ricerca i dati raccolti ci permetteranno di trarre altre utili conclusioni.