Autori: N. de Martini (1), L. Tartaglione (1,2), S. Rotondi (2), M.L. Muci (2), I. Proietti (3), C. Di Cristofano (4), M. Pasquali (1), S. Mazzaferro (1)
Affiliazioni: (1) Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie Nefrologiche, Anestesiologiche e Geriatriche, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma (2) Unità di Nefrologia e Dialisi, ICOT Polo Pontino, Sapienza Università di Roma (3) UOC Dermatologia Universitaria Daniele Innocenzi, Ospedale Fiorini -Terracina- Polo Pontino, Sapienza Università di Roma (4) Dipartimento di Scienze e Biotecnologie Medico-Chirurgiche, Polo Pontino, Sapienza Università di Roma
La CUA, associata a prognosi sfavorevole, ha epidemiologia, patogenesi e strategie terapeutiche controverse. Nel nostro centro, tra il 2010 e il 2017, abbiamo osservato 5 pazienti (2M/3F) con lesioni suggestive di CUA. Poiché i fattori di rischio riconosciuti (comorbidità, parametri biochimici, terapie) erano presenti in modo eterogeneo, abbiamo sottoposto tutte le lesioni (ulcerative e localizzate agli arti inferiori) a biopsia cutanea. L’istologia, teoricamente “gold standard”, è risultata: positiva in 2/5 (in un caso dopo due ripetizioni dell’esame), negativa in 1/5 e “non contrastante” con il sospetto clinico in 2/5 con evidenza di depositi di calcio in uno solo. La nostra diagnosi è stata pertanto clinica, basata sui seguenti elementi: precoce riconoscimento degli aspetti dermatologici e della sintomatologia (20-120giorni); netto miglioramento delle lesioni con le terapie empiriche disponibili (sodiotiosolfato -STS-, ottimizzazione parametri della CKD-MBD e gestione locale delle lesioni) con completa guarigione in 4 casi su 5; recidiva rapida (2 casi) dopo sospensione del STS e buona risposta alla sua reintroduzione. La mortalità si è confermata elevata, anche se i 3 decessi registrati (a 3, 24 e 36 mesi dalla diagnosi) non sono stati direttamente correlabili alla calcifilassi.
La complessità della CUA risiede nella molteplicità dei fattori di rischio, nella mancanza di terapie uniformi, ma anche nella difficoltà diagnostica, inclusa la possibile negatività della biopsia probabilmente da imputare alla disomogenea distribuzione delle calcificazioni. Dalla nostra esperienza è emersa, dunque, la non criticità dell’esame istologico come metodica diagnostica della CUA; è necessario quindi approfondire il dibattito su tutti gli aspetti della patologia.