PO043 – USO DEL DENOSUMAB PER IL TRATTAMENTO DELL’OSTEOPOROSI IN PAZIENTI EMODIALIZZATI AFFETTI DA IPERPARATIROIDISMO SECONDARIO; UNA CASE SERIES

Autori: Di Motta T (1), Bani S( 1), Blanco V (1), Borsotti C (1), Minnella I (1), Santarsia F (1), David S (1), Manenti L (1)
Affiliazioni:  (1) UOC Nefrologia ed Emodialisi, Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma, Ospedale Maggiore, Parma (ITA)

L’iperparatiroidismo secondario (SHP) è una delle principali complicanze in pazienti affetti da insufficienza renale cronica terminale (ESRD), e colpisce diversi pazienti sottoposti a trattamento emodialitico. La SHP stimola la demineralizzazione ossea e contribuisce alla liberazione dall’osso di calcio e fosforo, contribuendo ad un maggior rischio di fratture. Diverse strategie terapeutiche, farmacologiche e chirurgiche, possono ridurre il riassorbimento osseo conseguente al SHP in questi Pazienti.

Il Denosumab (Prolia; Amgen Inc) è un anticorpo monoclonale umanizzato che agisce mimando l’azione dell’osteoprotegerina (OPG). Mediante la sua attività sul ligando del recettore attivante del fattore nucleare B (RANKL), il denosumab inattiva le vie di segnalazione intracellulari essenziali per la formazione, la maturazione e la sopravvivenza degli osteoclasti, senza agire sull’attività osteoblastica, e determina così una riduzione del riassorbimento osseo, a favore della deposizione. Studi di farmacocinetica descrivono una durata d’azione del farmaco di circa 6 mesi, e non ne contemplano aggiustamenti di dose nei pazienti con insufficienza renale cronica. Le testimonianze cliniche sull’uso del Denosumab in letteratura dimostrano un certo grado di sicurezza nei pazienti in emodialisi. Tuttavia, in questi studi, alte dosi di calcitriolo, supplementazioni orali di calcio, e monitoraggio frequente dei valori sierici di calcio sono indispensabili per prevenire l’ipocalcemia conseguente alla remineralizzazione ossea.

Scopo di questa case series è valutare la risposta al denosumab dei principali markatori di turnover osseo in soggetti affetti da SHP in trattamento con alte dosi di calcitriolo e.v.

Metodi. Abbiamo somministrato una singola dose di Denosumab (60 mg sottocute), a 3 soggetti in ESRD sottoposti a trattamento emodialitico trisettimanale, e affetti da osteoporosi severa, documentata tramite mineralometria ossea computerizzata (MOC). I Pazienti erano inoltre affetti da SHP scarsamente controllato con la terapia farmacologica in atto (chelanti del fosforo per os e calcitriolo ad alte dosi). Sono stati monitorati ai mesi 1,3, 6 i livelli sierici di paratormone intatto (iPTH), osteocalcina, fosfatasi alcalina ossea (oAP) e settimanalmente i livelli sierici di calcio (totale e ionizzato) e fosforo.

 

Risultati: In seguito a riduzione dei valori sierici di calcio occorsi durante il primo mese dalla somministrazione del farmaco, è stata implementata la concentrazione di Calcio nel dialisato (da 1,25 mMol/L a 1,5 mMol/L) ed introdotta supplementazione orale di calcio. Non sono state apportate modifiche al dosaggio di calcitriolo. Nei 6 mesi di efficacia del farmaco si è osservata una netta riduzione dei valori ematici di oAP e osteocalcina (Figura). Inoltre, dopo transitorio incremento dei livelli sierici di iPTH nel primo mese di trattamento, verosimilmente conseguente all’ipocalcemia determinata dalla remineralizzazione ossea, abbiamo assistito ad un ritorno ai valori basali o addirittura una significativa riduzione  in un caso (Figura).

Durante il periodo di osservazione, non si sono verificati eventi avversi correlabili al farmaco, né sono avvenuti nuovi episodi di fratture ossee.

Discussione Il trattamento con Denosumab sembra essere sicuro nei pazienti in ESRD sottoposti a trattamento emodialitico. E’ necessario però incrementare l’apporto di calcio per os e nel bagno dialisi per limitare l’ipocalcemia secondaria.

In base alla nostra esperienza Denosumab nei pazienti con SHP determina una riduzione dei livelli sierici di oAP ed ostocalcina, confermando quindi una riduzione del catabolismo della matrice ossea, a favore della sua deposizione, ma anche una tendenziale riduzione dell’iPTH nell’arco dei 6 mesi di terapia.

Bibliografia:

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