LA VARIABILITÀ A LUNGO TERMINE (VISIT-TO-VISIT) DELLA PRESSIONE ARTERIOSA MISURATA IN AMBULATORIO PREDICE L’INCIDENZA DELLA MORTALITÀ E DEGLI EVENTI CV NEI PAZIENTI CON MALATTIA RENALE CRONICA

Insufficienza renale cronica

LA VARIABILITÀ A LUNGO TERMINE (VISIT-TO-VISIT) DELLA PRESSIONE ARTERIOSA MISURATA IN AMBULATORIO PREDICE L’INCIDENZA DELLA MORTALITÀ E DEGLI EVENTI CV NEI PAZIENTI CON MALATTIA RENALE CRONICA

comunicazione

Figura 1 di 5.

Background

L’ipertensione arteriosa è un importante fattore di rischio cardiovascolare sia nella popolazione generale che nei pazienti con malattia renale cronica. Nei nefropatici, uno degli studi più solidi è probabilmente il lavoro di  McCullough PA (Am Heart J 2008;156:277-283) effettuato nella coorte del Keep, uno studio di screening in una comunità americana.  La popolazione di questo studio includeva oltre 5000 pazienti con malattia renale cronica prevalentemente di grado 1-3. In questi pazienti, assumendo come categoria a rischio standard (gruppo di riferimento) quelli con una pressione arteriosa inferiore a 140/90 mmHg, i pazienti ipertesi avevano un eccesso di rischio di complicanze cardiovascolari (CV) che era del 64% più alto rispetto quello dei non ipertesi. Questi risultati dimostrano che l’ipertensione arteriosa, in una comunità con malattia renale cronica (MRC) da lieve a moderata, è un predittore diretto di eventi cardiovascolari. Ovviamente quando ho parlato di pressione arteriosa e di rischio ho fatto riferimento alla pressione arteriosa usuale.

Introduzione

Ma a parte la pressione arteriosa usuale, vi sono recenti evidenze nella popolazione non uremica che anche la variabilità della pressione arteriosa è un fattore di rischio CV. Vi sono almeno 2 componenti della variabilità pressoria: 1) quella a breve termine (nell’arco delle 24 ore) e 2) quella a lungo termine, per esempio quella variabilità riscontrata nello stesso paziente tra una visita e quelle successive (Fig.2). Quando noi misuriamo la PA nelle 24 ore un indice di variabilità è rappresentato dalla deviazione standard che indica di quanto in media ciascun valore rilevato nelle 24 ore si discosta dal valore medio. Ciò è espressione di variabilità pressoria nel breve termine. La variabilità visita-visita (per esempio nell’ambito di 4 settimane) è sempre espressa in termini di deviazione standard ma in questo caso quest’ultima è l’espressione di quanto in media ciascuna rilevazione pressoria rilevata durante le visite si discosta dalla media mensile. Ciò è percià espressione di variabilità pressoria nel lungo termine.

Più recentemente, l’ipotesi che la variabilità pressoria visita-visita è almeno altrettanto importante della pressione arteriosa usuale è stato testato da Rothwell e collaboratori con una serie di analisi rigorose quanto dettagliate che prendevano in esame i trial clinici più ponderosi negli ipertesi.  In questo primo articolo pubblicato su Lancet nel 2010 (Lancet 2010; 375: 895–905), Rothwell ha analizzato i dati della UK-TIA trial che include circa 1300 pazienti con recenti eventi cerebro-vascolari. In questo studio la variabilità pressoria visita-visita è stata espressa in termini di deviazione standard e l’outcome dello studio era l’incidenza di stroke ed eventi CV. I risultati sono stati poi validati in tre coorti indipendenti. Nello studio UK-Trial la variabilità pressoria visita-visita della pressione arteriosa sistolica era un fattore predittivo di eventi CV indipendente dalla pressione arteriosa media e questo rapporto emergeva anche nelle tre coorti di validazione (Fig. 3). Questi dati supportano l’ipotesi che la varabilità pressoria visita-visita è un fattore predittivo di stroke ed eventi coronarici indipendentemente dalla pressione arteriosa media durante le visite.

Obiettivi dello studio

Noi abbiamo esaminato il rapporto tra la variabilità pressoria visita-visita nel lungo termine e l’incidenza di un end point composito “morte/eventi cardiovascolari” in una coorte di pazienti con malattia renale cronica di stadio 2-5.

Metodi

La coorte di pazienti era a sua volta costituita da due coorti indipendenti: un campione rappresentativo di pazienti con malattia renale cronica di stadio 2-5 arruolati prevalentemente nella regione Calabria (n=750) e la coorte dello studio TABLE (n=868).  In totale, la popolazione dello studio includeva 1618 pazienti.

Risultati

E’ intuitivo che per meglio valutare l’impatto della variabilità pressoria sugli eventi è cruciale il numero delle osservazioni, cioè delle visite effettuate. Nel nostro studio la grande maggioranza dei pazienti  (73%) avevano da 7 a 5 visite in un arco temporale di 3 anni, mentre i rimanenti pazienti avevano da 4 a 2 visite.   All’analisi univariata, la variabilità della PA sistolica espressa come DS era direttamente correlata alla PA media (r=0.31, P<0.001) e ancora più strettamente associata alla PA massimale (r=0.64, P<0.001), cioè i pazienti con picchi sistolici più alti avevano anche una maggiore variabilità. Questa associazione indica che i picchi sistolici, anche se isolati, devono essere tenuti in considerazione nella valutazione del rischio globale.

Nei grandi trial clinici negli ipertesi essenziali è stato dimostrato che i calcio-antagonisti e i diuretici tiazidici riducono la variabiltà pressoria mentre altre classi di farmaci la aumentano. Nelle nostre 2 coorti di pazienti con malattia renale cronica, la variabilità  era simile per tutte le principali classi di farmaci impiegati. Questa mancanza di associazione può avere diverse spiegazioni tra le quali anche scarsa compliance dei pazienti alle prescrizioni terapeutiche.

 

Passiamo adesso ad analizzare l’effetto della variabilità della PA sistolica sugli eventi clinici. Nella popolazione generale e nei trial clinici maggiori nei pazienti non uremici, la variabilità pressoria si associa a eventi maggiori come lo stroke e gli eventi coronarici ma non è noto se questo effetto è presente anche nei pazienti con malattia renale cronica non in dialisi. Durante il follow-up, oltre 300 pazienti hanno avuto l’evento combinato, cioè morte o eventi CV fatali e non fatali. In questa analisi di Kaplan-Meier i pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: aldisotto e aldisopra del valore mediano della deviazione standard della pressione arteriosa sistolica (9.7 mmHg). Come potete osservare la sopravvivenza libera da eventi era più alta nei pazienti con bassa variabilità pressoria rispetto ai pazienti con più alta variabilità e questa differenza era statisticamente significativa (Fig. 4). Questa differenza rimaneva significativa anche dopo correzione per una serie di potenziali fattori di confondimento che includevano i fattori di rischio di Framingham, quelli peculiari dell’uremia, la pressione sistolica media e massima durante le visite.

 

Ci siamo a questo punti chiesti se l’uso dei beta-bloccanti modificasse il rapporto tra la variabilità pressoria e il rischio di eventi clinici. Come potete osservare, l’uso dei beta-bloccanti /simpaticolitici annullava l’eccesso di rischio connesso all’alta variabilità pressoria mentre l’associazione tra variabilità della pressione sistolica ed eventi si manteneva inalterata nei pazienti che non assumevano questi farmaci. La differenza tra questi due effetti era altamente significativa (Fig.5).

Conclusioni

In un’analisi congiunta in 2 coorti di pazienti con malattia renale cronica stadio 2-5, la variabilità della pressione arteriosa sistolica è strettamente e direttamente correlata alla pressione arteriosa media e ai picchi pressori.

Anche nei pazienti con malattia renale cronica stadio 2-5 la variabilità della pressione arteriosa sistolica è un forte predittore di eventi CV fatali e non fatali indipendentemente dalla pressione arteriosa media e massima.

Alcune classi di farmaci antipertensivi come i betabloccanti sembrano avere un effetto protettivo sul rischio associato alla variabilità pressoria.

Attenuare la variabilità pressoria dovrebbe essere considerato uno degli obbiettivi della terapia antipertensiva nei pazienti con malattia renale cronica


Figura 2 di 5.

La variabilità pressoria nel breve termine viene tradizionalmente studiata tramite monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa delle 24 ore mentre quella nel lungo termine viene valutata analizzando la variabilità visita-visita.


Figura 3 di 5.

Rapporto tra variabilità pressoria e rischio di eventi cerebro-vascolari nelle analisi secondarie di 4 trial clinici effettuate da Rothwell (The Lancet 2010; 375: 895–905).


Figura 4 di 5.

Analisi di Kaplan- Meier tra variabilità pressoria e rischio di mortalità ed eventi cardiovascolari nei pazienti con malattia renale cronica.


Figura 5 di 5.

Interazione tra uso di beta/bloccanti e variabilità pressoria nello spiegare l’incidenza della mortalità e degli eventi cardiovascolari fatali e non fatali.