DIALISI PERITONEALE: PERCHÈ UNA SCELTA ANCORA DIFFICILE? ANALISI DI TRE ANNI DI FOLLOW-UP

SESSIONE POSTER II

DIALISI PERITONEALE: PERCHÈ UNA SCELTA ANCORA DIFFICILE? ANALISI DI TRE ANNI DI FOLLOW-UP

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RAZIONALE

È noto come un adeguato percorso formativo precoce del paziente uremico sia fondamentale per la diffusione della Dialisi Peritoneale (Ribitsch W – 2013 [1]).

Dall’ottobre 2010 presso l’Ospedale di Chivasso è stato avviato il Sevizio di Dialisi Peritoneale, contestualmente alla riorganizzazione dell’ ambulatorio dedicato all’insufficienza renale avanzata (GFR<20 ml/min/1.73 m^2), gestiti dal medesimo medico, coadiuvato da una dietista e da uno psicologo.

CASISTICA E METODI

Sono stati considerati retrospettivamente tutti i pazienti presi in carico dal 1/10/2010 al 31/12/2013, l’incidenza del tratamento sostitutivo e la scelta della metodica, analizzando la presenza di controindicazioni alla dialisi peritoneale secondo i seguenti criteri:

  • presenza di almeno una controindicazione clinica assoluta (BMI>40, ernie non correggibili, sindrome aderenziale, infezioni, stomie e neoplasie addominali);
  • presenza di almeno due o più controindicazioni cliniche relative (OSAS con NIV notturna, BMI > 35, pregressi interventi addomonali, immunosoppressione);
  • presenza di controindicazioni socio-attitudinali associate o meno a controindicazioni cliniche relative
  • avvio in acuto del trattamento emodialitico o pazienti inviatici per competenza territoriale già con accesso vascolare confezionato.

RISULTATI

Dal 1/10/2010 al 31/12/2013 sono stati presi in carico 169 pazienti, di cui 62 (36,7%) hanno avviato un trattamento sostitutivo e 2 sono stati sottoposti a trapianto pre-emptive di rene da cadavere (Figura 1). La dialisi peritoneale è stata avviata in 13/62 pazienti (21%) e l’emodialisi in 49/62 pazienti (79%) (Figura 2). Si sono evidenziate controindicazioni cliniche e socio-attitudinali, secondo i criteri stabiliti, in 31 dei 49 pazienti avviati all’emodialisi ed in aggiunta, a posteriori, si è riscontrata una fragilità gestionale in altri 4 casi (età > 80 anni con scarso supporto e motivazione familiare) (Figura 3). La ri-analisi dei restanti 14 pazienti ha evidenziato un’età media significativamente inferiore (p=0.00005) rispetto alla popolazione in esame (Figura 4), l’assenza di comorbidità significative e la piena autosufficienza.

CONCLUSIONI

La nostra esperienza ha confermato la difficoltà di diffusione della dialisi peritoneale, nonostante un percorso  strutturato in senso formativo ed educazionale, con livelli di incidenza comunque sovrapponibili a dati segnalati in letteratura (Antonucci F. – 2009 [2]) (Nordio M. – 2013 [3]).

Tuttavia, nella nostra casistica, nonostante la presenza di controindicazioni cliniche e socio-attitudinali rappresenti un peso non trascurabile, un fattore limitante alla diffusione del trattamento dialitico peritoneale è risultato dal rifiuto dei pazienti più giovani ed autosufficienti (22% di tutti gli incidenti e 28% degli incidenti in emodialisi), malgrado una adeguata informazione e contrariamente a quanto riportato da altre esperienze (Chanouzas D.- 2011 [4]) (Liebman SE. – 2012 [5]).

Tale atteggiamento è stato motivato in parte dalla volontà di escludere la sfera familiare ed affettiva dalla malattia renale, in parte dalla speranza di un trapianto nel breve termine, facendo ritenere quindi “eccessivo” l’impegno per l’avvio di un programma dialitico domiciliare (in effetti 12/14 pazienti avevano già avviato l’iter trapiantologico in fase pre-dialitica e 4/14 erano già stati trapiantati al 31/12/2013).

In tal senso, la diffusione, peraltro auspicabile, del trapianto pre-emptive da cadavere potrebbe ulteriormente sottrarre pazienti alla dialisi peritoneale.