DIALISI PERITONEALE IN PAZIENTE CON CIRROSI EPATICA

SESSIONE POSTER II

DIALISI PERITONEALE IN PAZIENTE CON CIRROSI EPATICA

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INTRODUZIONE

Eseguire un trattamento dialitico in un paziente affetto da cirrosi epatica è problematico per i rischi di emorragie, malnutrizione e peritoniti. Presentiamo la nostra esperienza in un paziente cirrotico in dialisi peritoneale.

CASE REPORT

Paziente di 77 anni,  affetto da ipertensione arteriosa sistemica, fibrillazione atriale cronica, in trattamento anticoagulante, diabete mellito di tipo II, con scarso controllo glicometabolico, cirrosi epatica di ndd. Non interventi chirurgici.

Diagnosi di Insufficienza renale nel 2008, inizia follow up ambulatoriale che interromper per tre anni. Torna nel 2011 con anemizzazione e peggioramento della funzione renale.

Nel 2012 il paziente fu sottposto a trattamento dialitico per iperkaliemia. Fu sospesa la terapia a base di sartanici con miglioramento della funzione renale. Rifiutava trattamento con i prodotti ipoproteici.

Fino all’aprile del 2013 peggioramento progressivo della funzione renale (fig. 1) e dello stato di idratazione, con versamento ascitico ed incremento di peso. Iniziava terapia diuretica con metolazone.

Nell’agosto 2013, nuovo ricovero ospedaliero per eccessivo incremento di peso con edema e trasudazione degli arti inferiori e peggioramento dei parametri di funzione renale (azotemia 320 mg/dl). Vista la scarsa risposta alla terapia diuretica, dopo le dovute spiegazioni sulla dialisi e la motivazione del paziente e dei familiari, si inseriva catetere peritoneale, previa correzione dello stato di coagulazione (sospensione warfarin, somministrazione di vitamina k ed eparina a basso peso molecolare).

L’intervento veniva eseguito con incisione mediana sulla linea alba. Durante il posizionamento si drenavano 5000 cc di liquido ascitico.

Il decorso post-operatorio è stato regolare, ad eccezione di comparsa di ematoma in prossimità del taglio chirurgico e la diuresi si è mantenuta intorno ai 1500 cc al giorno.

Ha iniziato dialisi con 3 scambi da 1000 cc al giorno, è stato completamente drenato il versamento ascitico con miglioramento dei parametri biochimici.

Dopo la dimissione abbiamo iniziato una dieta con 1.2 g/kg/die di proteine (Ambuhl [1]), supplementata con chetoanaloghi.

In fig. 2 sono riportate le condizioni del paziente dopo un mese di trattamento.

DISCUSSIONE

La problematica della dialisi nei pazienti con cirrosi epatica è stata studiata nel tempo, solo con studi retrospettivi e mai con grossi numeri.

Il più numeroso era di Wilkinson SP et al. nel 1977 [2] non mostrava miglioramenti della sopravvivenza tra l’emodialisi e la dialisi peritoneale, comunque miglioravano gli squilibri elettrolitici. Tra i pazienti trattati con dialisi peritoneale erano inferiori gli episodi di instabilità emodinamica e di sanguinamento.

Altri studi evidenziavano un’alta mortalità a breve termine Ring-Larsen H [3], 1973, con elevato numero di peritoniti Bajo MA [4], et al.1994;

Marcus et a [5]l nel 1992 condussero uno studio su 9 pazienti cirrotici trattati con dialisi peritoneale con sopravvivenza superiore agli 8 anni, con più di 18 mesi con buon controllo dei sintomi dell’uremia e dello stato di volume.

De Vecchi [6] et al nel 2002 pubblicarono uno studio condotto su 21 pazienti cirrotici paragonati a 41 non cirrotici, e la mortalità a tre anni era del 50% nei cirrotici contro il 35% dei non cirrotici. Tra i cirrotici nessuno morì per cause cardiovascolari.

Chaudhary and Khanna [7] (full text) (2008) segnalano la difficoltà del timing di inizio dialisi nei pazienti con cirrosi epatica, per la difficoltà a studiare il GFR. Inoltre anche loro pongono l’accento sulla stabilità emodinamica del paziente e sul rischio emorragico, che sono inferiori nei pazienti in dialisi peritoneale.

Si considera inoltre la gestione dell’ascite che in emodialisi richiede ripetute paracentesi, con grosse perdite di volume e rischio di ipotensioni e perdita della diuresi, mentre la dialisi peritoneale la drena ad ogni scambio, limitando grosse perdite di volume anche dall’addome.

Di altro spessore è il discorso della malnutrizione proteica: i pazienti con cirrosi epatica e dialisi peritoneale sono a maggior rischio di perdita di proteine, sia per una carente produzione in sede epatica, che per un’aumentata perdita con il liquido di dialisi, oppure con le urine se affetti da epatopatia cronica infettiva con crioglobulinemia. Sia Selgas et al [8] (full text) che de Vecchi et al [6] evidenziavano un’alta perdita di proteine all’inizio del trattamento che poi tendeva a ridursi nel tempo, mantenendo livelli di albumina stabile. (De Vecchi et a [6],Marcus et al [5]). Sempre De Vecchi et a [6] evidenziava una più alta incidenza di malnutrizione tra i cirrotici rispetto ai non cirrotici (66% vs 12%), con sopravvivenza sovrapponibile tra i due gruppi.

Altro importante capitolo è quello delle peritoniti, che già sono elevate nei pazienti cirrotici come peritoniti spontanee, vi è un maggior rischio dei pazienti in dialisi peritoneale con frequenza che va da una peritonite ogni 9 mesi (Selgas et al [8] (full text)), fino a 1 ogni 39 mesi (De Vecchi et a [6]). Marcus et al non trovavano grosse differenze tra i gruppi di pazienti cirrotici e non cirrotici.

Le caratteristiche del nostro paziente sono le seguenti: cardiopatia ad evoluzione dilatativa, con fibrillazione atriale cronica in trattamento anticoagulante, cirrosi epatica ascitica, scarsa compliance alimentare, buona compliance farmacologica.

Le comorbidità ci hanno spinto verso un trattamento dialitico peritoneale e non verso l’emodialisi per i seguenti motivi:

  • Stabilità cardiovascolare: il paziente è affetto da una cardiopatia ad evoluzione dilatativa e FA cronica, con il rischio di ipotensioni e tachiaritmie durante e dopo il trattamento.
  • Rischio emorragico: la coesistenza di cirrosi epatica e terapia anticoagulante, che già avevano dato problemi di emostasi per frequenti epistassi e la formazione di ematoma dopo l’intervento chirurgico, avrebbero potuto dare problemi in sede di inserzione di CVC o di emostasi dopo il trattamento emodialitico.
  • Scarsa compliance alimentare: gli incrementi ponderali del paziente, in caso di emodialisi, avrebbero portato a progressiva perdita della diuresi residua e quindi aumentato rischio di edema polmonare e aumento del versamento ascitico, con necessità di ripetute paracentesi. Rimaneva inoltre alto il rischio di iperkaliemia.
  • Motivazione del paziente e dei familiari: al proponimento della dialisi peritoneale sia il paziente che i familiari erano rimasti soddisfatti, sia per le minori rinunce alimentari, che il paziente non avrebbe accettato, sia per il fatto che non era costretto a recarsi in ospedale tre volte a settimana.

Il nostro paziente è passato da una condizione clinica, ricca di sintomi, che richiedeva frequenti ricoveri ospedalieri, ad una situazione più stabile e sopratutto gestita a domicilio con recupero della privacy domestica. Inoltre vi era stato un miglioramento delle condizioni generali, un senso di benessere soggettivo e di soddisfazione sia del paziente che dei familiari.

CONCLUSIONI

Il paziente cirrotico e con insufficienza renale è un paziente fragile e per la sua patologia è a rischio di numerose complicanze (ascite, encefalopatia epatica, emorragie, sindrome epato-renale, malnutrizione…)

In fase conservativa:

È importante interagire strettamente con lui ed i familiari.

In predialisi:

Illustrare accuratamente i tipi di trattamento con i rischi ed i benefici dell’una e dell’altra tecnica

Considerare che la dialisi peritoneale per la sua delicatezza e l’assenza di anticoagulazione rappresenta un ottimo trattamento su questi pazienti, anche per quanto riguarda la qualità di vita.

BibliografiaReferences

[1] Ambühl PM Protein intake in renal and hepatic disease. International journal for vitamin and nutrition research. Internationale Zeitschrift fur Vitamin- und Ernahrungsforschung. Journal international de vitaminologie et de nutrition 2011 Mar;81(2-3):162-72

[2] Wilkinson SP, Weston MJ, Parsons V et al. Dialysis in the treatment of renal failure in patients with liver disease. Clinical nephrology 1977 Jul;8(1):287-92

[3] Ring-Larsen H, Clausen E, Ranek L et al. Peritoneal dialysis in hyponatremia due to liver failure. Scandinavian journal of gastroenterology 1973;8(1):33-40

[4] Bajo MA, Selgas R, Jimenez C et al. CAPD for treatment of ESRD patients with ascites secondary to liver cirrhosis. Advances in peritoneal dialysis. Conference on Peritoneal Dialysis 1994;10:73-6

[5] Marcus RG, Messana J, Swartz R et al. Peritoneal dialysis in end-stage renal disease patients with preexisting chronic liver disease and ascites. The American journal of medicine 1992 Jul;93(1):35-40

[6] De Vecchi AF, Colucci P, Salerno F et al. Outcome of peritoneal dialysis in cirrhotic patients with chronic renal failure. American journal of kidney diseases : the official journal of the National Kidney Foundation 2002 Jul;40(1):161-8

[7] Chaudhary K, Khanna R Renal replacement therapy in end-stage renal disease patients with chronic liver disease and ascites: role of peritoneal dialysis. Peritoneal dialysis international : journal of the International Society for Peritoneal Dialysis 2008 Mar-Apr;28(2):113-7 (full text)

[8] Selgas R, Bajo MA, Jimenez C et al. Peritoneal dialysis in liver disorders. Peritoneal dialysis international : journal of the International Society for Peritoneal Dialysis 1996;16 Suppl 1:S215-9 (full text)