DIALISI PERITONEALE E OUTCOME A LUNGO TERMINE: L’ESPERIENZA DEL CENTRO DI VERONA

SESSIONE POSTER I

DIALISI PERITONEALE E OUTCOME A LUNGO TERMINE: L’ESPERIENZA DEL CENTRO DI VERONA

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INTRODUZIONE

La dialisi peritoneale (DP) è una metodica dialitica ormai ben consolidata, non inferiore all’emodialisi in quanto a capacità depurative e alla sopravvivenza dei pazienti, di costo più contenuto e, probabilmente, in grado di offrire un benessere soggettivo superiore. La prevalenza della DP in Italia è rimasta tuttavia stabile nel tempo [1] (full text), nonostante le evidenze di efficacia e di buona accettazione da parte dei pazienti ed il progressivo miglioramento tecnologico (in merito a sistemi di connessione più maneggevoli e sicuri, e all’utilizzo di soluzioni dialitiche più “biocompatibili”).

Nel nostro Reparto la DP viene utilizzata da oltre trent’anni. Abbiamo voluto quindi valutare retrospettivamente se vi siano state variazioni demografiche e cliniche delle caratteristiche dei pazienti incidenti in DP nel periodo di attività del nostro centro, ed eventualmente come tali variazioni possano avere influenzato gli outcome a lungo termine.

PAZIENTI E METODI

Sono state prese in esame le cartelle di 423 pazienti pazienti uremici incidenti in DP e seguiti dall’ambulatorio di Dialisi Peritoneale fra il 1 Gennaio 1982 e il 31 Dicembre 2011; sono stati esclusi i pazienti che avevano effettuato trattamento dialitico per un periodo inferiore a 6 mesi e che avevano sviluppato almeno un evento cardio-vascolare maggiore (infarto del miocardio o ictus cerebri, o che avevano subito un’amputazione) prima di iniziare la dialisi.

Sono stati quindi analizzati i dati relativi a 260 pazienti adulti che hanno effettuato DP come primo trattamento sostitutivo e per almeno 6 mesi.

I pazienti sono stati divisi in 3 gruppi:

GRUPPO A (n: 62): pazienti incidenti nel periodo 1982-1991;

GRUPPO B (n: 66): pazienti incidenti nel periodo 1992-2001;

GRUPPO C (n: 132): pazienti incidenti nel periodo 2002-2012.

Le caratteristiche considerate sono riassunte nella Tabella I.

Per l’analisi dei dati e per gli algoritmi statistici uni- e multivariati è stato utilizzato il software SPSS. Tutti i test sono stati ritenuti significativi quando p <0.05.

RISULTATI

L’analisi delle principali variabili presenti ad inizio DP dimostra (Tabella I): 

nei pazienti del GRUPPO C (periodo 2002-2012) rispetto agli altri due gruppi vi è stata: una riduzione del valore medio della pressione arteriosa sistolica (p<0.0001), dell’età media (p=0.03),dell’abitudine tabagica (p=0.001); un miglioramento dei valori di emoglobinemia (p<0.0001) e di diuresi residua (p=0.016); un aumento dell’utilizzo della APD rispetto alla CAPD (p=0.0001).

Nel tempo, vi è stata una riduzione sia dei pazienti incidenti in DP con anamnesi di eventi cardiovascolari maggiori (p < 0.0001), che dei giorni di ospedalizzazione nel corso del follow-up (p = 0,004).

È rimasta stabile nel tempo l’incidenza di pazienti diabetici in DP.

L’analisi multivariata (Fig. 1) mostra che età (hazard ratio (HR): 1.1, p=0.001), anamnesi positiva per neoplasia (HR: 2.4, p<0.001), diabete mellito (HR: 3.9, p<0.001) e abitudine al fumo (HR: 1.3, p<0.001) correlano positivamente con la mortalità;la albuminemia (HR: 0.6, p=0.001) e la diuresi residua (HR: 0.9, p=0.04) correlano negativamente.

Vi è stata una progressiva riduzione del rischio di morte nel tempo [gruppo C vs A: HR: 0.1, p<0.001, gruppo B vs A: HR: 0.48, p=0.04] e del rischio di sviluppare infarto miocardico acuto e complicanze cerebro-vascolari (Fig. 2 e 3).

DISCUSSIONE

La dialisi peritoneale presenta diversi aspetti che la rendono preferibile all’emodialisi, quali ad esempio la possibilità di preservare la funzione renale residua, l’assenza di anticoagulazione, la flessibilità di orario. La sopravvivenza media dei pazienti in dialisi peritoneale è di circa 5 anni, sovrapponibile a quella dei pazienti in emodialisi, e risulta essere migliore nei pazienti che effettuano DP come prima metodica di dialisi e che hanno un numero minore di comorbidità [2]. Numerosi lavori hanno segnalato un rischio di mortalità dei pazienti in dialisi più elevato rispetto alla popolazione generale e come le comorbidità presenti all’inizio del trattamento siano predittrici di mortalità; peraltro, è importante sottolineare come nei pazienti dializzati, i fattori di rischio cardiovascolare aumentino di severità con la riduzione della funzione renale residua  [3] (full text). Quest’ultima risulta essere un fattore associato positivamente alla sopravvivenza [4]. Infine, il diabete mellito è ritenuto predittivo di mortalità nei pazienti in dialisi peritoneale probabilmente a causa dell’elevato numero di complicanze cardiovascolari ad esso correlate.

Tenuto conto di queste premesse, abbiamo esaminato la nostra popolazione di pazienti incidenti in DP in 30 anni di attività. Dall’analisi è emerso che nella nostra UOC, nel tempo, la DP è stata scelta da pazienti di età inferiore rispetto a quanto succedeva all’inizio della nostra attività, ed è stato registrato un progressivo aumento della metodica automatizzata. Questi due dati possono essere letti in parallelo: infatti, negli anni ‘90 vi è stata l’istituzione dell’ambulatorio “pre-dialisi” che ha permesso la presa in carico più precoce e tempestiva di pazienti affetti da insufficienza renale cronica; questo dato è importante, poiché i pazienti che giungono alla terapia sostitutiva sono oggi più giovani, più preparati, e informati sulle possibilità terapeutiche; essi si orientano verso la APD nella maggior parte dei casi per ragioni socio-lavorative. Allo stesso modo, poiché i pazienti che giungono alla DP provengono da un più o meno lungo periodo di follow-up predialitico, raramente sono gravati dalle severe complicanze dell’uremia, quali ad esempio l’anemia grave, l’acidosi metabolica, la malnutrizione, o il malcontrollo pressorio, che caratterizzano i pazienti late-referral. Inoltre, l’educazione dei pazienti permette di limitare o ridurre l’abitudine tabagica, e di fornire adeguate indicazioni dietetiche.

C’è inoltre da segnalare come, con il progressivo miglioramento tecnologico della DP e con la maggior consapevolezza che essa è una metodica dialitica confrontabile all’emodialisi, i pazienti incidenti in DP siano stati nel tempo pazienti meno gravati da comorbidità (come documentato dalla riduzione del numero di pazienti incidenti in DP con storia di eventi cardiovascolari e dei giorni di ospedalizzazione durante il follow-up), al contrario di quanto avveniva quando la DP era considerata una metodica “di seconda scelta”, e candidabili al trapianto renale. Proprio per questo motivo, vengono messe in atto tutte le strategie terapeutiche più adatte al fine di garantire ai pazienti in DP un adeguato controllo pressorio e nutrizionale, una valida correzione dell’anemia (con l’utilizzo più razionale degli ESA), e, soprattutto, si attuano tutte le strategie possibili per mantenere la diuresi residua, limitando ad esempio l’uso di farmaci nefrotossici e la disidratazione eccessiva e utilizzando, dove è razionale, le soluzioni biocompatibili [5].

CONCLUSIONI

La trentennale esperienza del nostro centro ci ha permesso nel tempo di valutare e gestire meglio le comorbidità e/o i fattori di rischio presenti all’inizio del trattamento DP portandoci ad un sempre miglior controllo dei fattori di rischio cardiovascolari e facendoci adottare tutti gli accorgimenti volti a preservare il più a lungo possibile la funzione renale residua: questo ha influenzato significativamente la sopravvivenza dei pazienti, anche attraverso una riduzione delle complicanze cardio-cerebro-vascolari.