Anticorpi anti-endotelio nel trapianto di rene e di pancreas: aspetti metodologici e clinici

Trapianto Renale

Anticorpi anti-endotelio nel trapianto di rene e di pancreas: aspetti metodologici e clinici

comunicazione

Figura 1 di 20.

ANTICORPI ANTI-ENDOTELIO NEL TRAPIANTO DI RENE E DI PANCREAS: ASPETTI METODOLOGICI E CLINICI


Figura 2 di 20.

Il trapianto di rene rappresenta senza dubbio il miglior trattamento per la maggior parte dei pazienti affetti da malattia renale cronica terminale ed è superiore al trattamento dialitico in termini di mortalità e morbidità a lungo termine (Wolfe et al., 1999 [1])


Figura 3 di 20.

Nonostante l’efficacia e la molteplicità dei recenti approcci farmacologici, la sopravvivenza del trapianto è ancora fortemente inficiata dai complessi meccanismi che regolano l’interazione tra il graft e il sistema immunitario del ricevente (Sumpter e Wilkes, 2004 [2])


Figura 4 di 20.

La risposta alloimmune dovuta alla presenza di anticorpi anti-HLA (human leucocyte antigen) ha un ruolo inconfutabile nella patogenesi del rigetto sia cellulo- che anticorpo-mediato. Tuttavia negli ultimi anni  numerosi studi hanno suggerito un ruolo sempre più rilevante sia delle risposte alloimmuni non-HLA mediate che dell’immunità contro il self indotta dal trapianto nel fornire un milieau immunologico favorevole ad ogni tipo di rigetto (Smith et al., 2009 [3]; Nath et al., 2010 [4])


Figura 5 di 20.

Un buon esempio è fornito dai lavori di Wilkes e Burlingham sul trapianto di polmone. Essi hanno fornito prove convincenti del ruolo che l’autoimmunità diretta verso il collagene di tipo V (ColV), una proteina self sequestrata ma ugualmente immunogenica nel tessuto polmonare, riveste nello sviluppo del rigetto cronico dopo trapianto di polmone. Il rimodellamento tissutale che segue il trapianto è in grado di esporre antigeni self o determinanti antigenici criptici che possono innescare risposte immunitarie tramite cellule T helper (Sumpter e Wilkes, 2004 [2]) (Burlingham et al., 2007 [5])


Figura 6 di 20.

Gli anticorpi anti-cellule endoteliali (o AECA, anti-endothelial cell antibodies) sono anticorpi rivolti contro un gruppo eterogeneo di antigeni endoteliali non tutti identificati. L’interesse per questa classe anticorpale è iniziato dallo studio delle patologie autoimmuni alle quali sono frequentemente associati. Essi possono determinare citotossicità diretta, anticorpo-mediata, attivazione endoteliale con secrezione di citochine pro-coagulanti e pro-infiammatorie ed apoptosi endoteliale (Belizna et al., 2006 [6])


Figura 7 di 20.

Uno studio di Hernandez del 2011 dimostrava come gli AECA rivolti contro cellule endoteliali renali (HKEC, human kidney endothelial cell) fossero significativamente più frequenti in pazienti con ESRD (end stage renal disease) rispetto a una popolaziona sana. Essi mostravano in vitro una maggiore affinità per le cellule endoteliali renali rispetto a quelle di altri organi ed erano in grado di attivare profonde mutazioni strutturali cellulari che determinavano, alla fine, l’alterazione della permeabilità di un singolo strato endoteliale al passaggio di molecole di grosso peso molecolare. Clinicamente, i pazienti AECA positivi presentavano valori pressori più alti e una più alta concentrazione sierica di interleuchina-6, nota molecola pro-infiammatoria (Hernandez et al., 2012 [7])


Figura 8 di 20.

Il quadro è reso ancora più complesso dal rilevamento degli AECA nei soggetti sani, dove essi presentano una spiccata affinità sia per antigeni di membrana “strutturali” come vimentina e actina, che con implicazioni metaboliche, quali l’ alfa-enolasi. Addirittura potrebbero rivestire, in taluni casi, un ruolo di regolazione anti-infiammatorio e anti-trombotico (Servettaz et al., 2008 [8])


Figura 9 di 20.

Come dimostrato dalle diverse tecniche di dosaggio utilizzate negli studi clinici, l’eterogeneità degli antigeni endoteliali coinvolti ha reso ancora più difficile la determinazione degli AECA in vivo. Oltre a ciò l’esito degli studi eseguiti finora è stato variabile sia nei risultati che nelle conclusioni (Nakagawa et al., 2002 [9]; Le Bas-Bernardet et al., 2003 [10]; Sun et al., 2005 [11]; Sun et al., 2008 [12]; Han et al., 2009 [13]; Ismail et al., 2009 [14])  Tra questi lo spunto per il nostro studio è venuto da Sun che, nel 2010, valutò per 3 anni 226 pazienti trapiantati di rene da cadavere. Il dosaggio AECA con immunofluorescenza indiretta permise di suddividere i pazienti in 3 gruppi: il primo persistemente sieropositivo sia prima che dopo il trapianto, il secondo persistemente negativo, e il terzo che sviluppava AECA de novo dopo il trapianto. In quest’ultimo gruppo Sun rilevò un numero significativamente maggiore, rispetto agli altri gruppi, di rigetti d’organo precoci, multilpi e steroido-resistenti (Sun et al., 2011 [15])


Figura 10 di 20.

Lo studio include 168 pazienti trapiantati consecutivamente a Pisa dal 1/10/2009 al 30/06/2012 e così distribuiti: 40 esclusi per follow-up inferiore a 6 mesi (mancanza sieri per AECA, decesso, espianto del graft o perchè seguiti presso altro Centro) o per esecuzione di plasmaferesi o immunoadsorbimento di desensibilizzazione o terapeutica peri- e/o post-trapianto, 45 (35,2 %) trapianti di rene da donatore cadavere singoli o doppi, 52 (40,6 %) trapianti di rene da donatore vivente, 1 (0,8 %) trapianto simultaneo di pancreas da cadavere e di rene da vivente, 21 (16,4 %) trapianti simultanei di rene e pancreas, 4 (3,1 %) trapianti di pancreas isolato, 5 (3,9 %) trapianti di pancreas susseguenti  a trapianto di rene per un totale di 128 pazienti elegibili allo studio (fig.2). Di questi, 14 (10,9 %) sono stati sottoposti ad almeno un trapianto precedente a quello considerato nello studio, 96 (75 %) eseguivano dialisi cronica e 29 (22,3 %) hanno eseguito trapianto pre-emptive.Il follow-up medio è stato di 14,9 ± 4,1 mesi.


Figura 11 di 20.

La determinazione degli AECA è stata effettutata tramite immunofluorescenza indiretta su un singolo lotto di cellule endoteliali umane ottenute da vena ombelicale (HUVEC, human umbilical vein endothelial cells),che non presentano antigeni AB0. Dopo tipizzazione delle HUVEC per HLA A/B/C/DB1 e DQ1 abbiamo iniziato il dosaggio sierico degli AECA e degli anticorpi anti-HLA,con tecnica Luminex, subito prima del trapianto e quindi a 1,3,6,12 e 24 mesi da esso. La tipizzazione preliminare degli antigeni HLA sulle HUVEC e la valutazione sierica degli anti-HLA hanno permesso di limitare false positività per AECA all’immunofluorescenza indiretta.  


Figura 12 di 20.

Dei 168 pazienti arruolati all’inizio dello studio, 40 sono stati esclusi per follow-up inferiore a 6 mesi. Dei 128 pazienti rimanenti ed arruolati, 17 sono risultati AECA positivi già prima del trapianto (AECA pre+) e 111 AECA negativi (AECA pre-). Dopo il trapianto nel primo gruppo si è osservata una negativizzazione degli AECA in 8 pazienti (AECA pre+/post-), nel secondo una positivizzazione in 4 pazienti (AECA pre-/post+). Il significato clinico di queste variazioni è stato valutato per ognuno dei quattro gruppi finali.


Figura 13 di 20.

Il gruppo di pazienti AECA pre- non differisce dal gruppo pre+ per dati anagrafici, età del donatore, età dialitica, tipo di dialisi, precedenti trapianti, prevalenza di ANA, sieropositività anti-TPO/anti TG o per le IgG anti-CMV. Spicca la netta prevalenza di patologie immunomediate, sia sistemiche che renali, nel gruppo AECA pre+ rispetto ad AECA pre- (70,5 % vs 44,1 %, p 0,07) e soprattutto la differenza significativa nella pre-sensibilizzazione HLA a favore del primo gruppo (47,1% vs 19,5%, p 0,027). Pur non differendo nella terapia immunosoppressiva di mantenimento, il gruppo AECA pre+ è stato significativamente più trattato con ATG che con Basiliximab all’induzione.


Figura 14 di 20.

Fermo restando tempi d’ischemia fredda similari, l’outcome clinico dei pazienti con AECA preformati di fatto non differisce significativamente da quello dei pazienti AECA pre- rispetto alla sensibilizzazione HLA post-trapianto e l’evoluzione del graft renale. E’ stata riscontrata invece un significativa differenza (50% vs 4%, p 0,02) nel numero dei rigetti pancreatici, tutti cellulo-mediati.


Figura 15 di 20.

Dal confronto tra pazienti AECA pre-/post+ e persistentemente negativi per AECA non è risultata alcuna differenza significativa in termini di rigetti (sia renali che pancreatici) provati da biopsia, sensibilizzazione HLA post-trapianto (ivi compresi i DSA), perdita del graft, andamento della creatininemia e mortalità.


Figura 16 di 20.

Nel gruppo persistentemente positivo per AECA ,rispetto al gruppo persistentemente negativo, risulta ancora una volta significativamente più alto il numero di rigetti cellulo-mediati di pancreas.


Figura 17 di 20.

Anche da confronto tra pazienti persistemente sieronegativi per AECA e negativizzati dopo il trapianto non vi sono differenze significative nello sviluppo di anti-HLA, rigetti di rene e pancreas


Figura 18 di 20.

I pazienti con AECA pre-formati hanno mostrato un’associazione con patologie immuno-mediate (ivi comprese alcune glomerulopatie provate da biopsia) tale da rasentare la significatività. D’altra parte, nello stesso gruppo, era certamente significativa la presensibilizzazione HLA, peraltro già riportata (Racusen et al., 2003). Si possono porre a metà tra allo- e auto-immunità?

La terapia immunosoppressiva d’induzione e i fattori infettivi, come CMV ed EBV, non hanno inciso sulla cinetica degli AECA.

Gli AECA non hanno trovato alcuna relazione con l’outcome del graft renale in termine di funzione e rigetti singoli, multipli, precoci e/o steroido-resistenti.


Figura 19 di 20.

L’associazione significativa tra AECA e rigetti di pancreas sembra essere legata essenzialmente agli AECA pre-formati, tuttavia il gruppo con AECA de novo, già molto piccolo, presenta una solo trapianto di pancreas, troppo poco per esprimersi in questo senso.

Nello studio più simile al nostro, quello di Sun del 2010(Sun et al., 2011 [15]), era compresa una  percentuale significativamente più alta sia di pazienti AECA pre+ che di positivizzazioni de novo. E’ possibile che ciò sia stato legato a tempi d’ischemia significativamente più lunghi dei nostri (17 vs 8 ore) con conseguente necrosi ischemica e sensibilizzazione ad antigeni endoteliali, oppure ad un bias metodologico assolutamente non secondario. L’autore infatti, non ha tipizzato l’HLA delle cellule HUVEC, col risultato possibile che gli AECA+ all’IF indiretta fossero un falso positivo legato alla presenza di anticorpi del ricevente contro gli HLA della cellula endoteliale.

I limiti principali dello studio sono legati alla breve durata media e all’eseguito della popolazione studiata


Figura 20 di 20.

RINGRAZIAMENTI


BibliografiaReferences

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