Una rara complicanza del trattamento con adalimumab: la glomerulonefrite a depositi mesangiali di IgA con proliferazione extracapillare

Introduzione

Il fattore di necrosi tumorale α (TNF-α) è implicato nella patogenesi di numerose malattie infiammatorie croniche (artrite reumatoide, morbo di Crohn, spondilite anchilosante). Esso è una citochina proinfiammatoria coinvolta nella regolazione di diversi processi biologici come la proliferazione, la differenziazione cellulare e l’apoptosi.

TNF-α riveste un ruolo centrale nella patogenesi dell’artrite reumatoide, legando recettori specifici presenti su cellule immunitarie, infiammatorie ed endoteliali, responsabili del danno al tessuto sinoviale. È rilasciato da macrofagi attivati e fibroblasti sotto lo stimolo dei linfociti T migrati nel tessuto sinoviale. Sulla base di queste premesse sono stati sviluppati diversi anticorpi diretti contro tale fattore, che si sono dimostrati efficaci nel trattamento di fondo dell’artrite e, in genere, sono ben tollerati. Tra questi, Adalimumab (Humira, Abbott) è un anticorpo monoclonale ricombinante umano, ad alta affinità, che impedisce il legame della citochina ai suoi recettori [1].

Benchè il farmaco sia generalmente ben tollerato, è nota dalla Letteratura la sporadica occorrenza di complicanze renali. È noto il caso di un paziente affetto da artrite reumatoide, sottoposto a due somministrazioni di adalimumab, che successivamente ha sviluppato una glomerulonefrite proliferativa extracapillare con necrosi fibrinoide focale e segmentale. All’immunofluorescenza si dimostravano depositi focali segmentali granulari di C3 e depositi diffusi granulari di IgG lungo le pareti capillari [2].

Più recentemente Portuesi e Perosa hanno descritto un caso analogo di un paziente affetto da artrite reumatoide e trattato con adalimumab, che ha sviluppato sindrome nefrosica in glomerulonefrite proliferativa diffusa con proliferazione endo- ed extracapillare [3]

In un paziente affetto da psoriasi trattata con adalimumab è stato documentata la comparsa di anticorpi anti-nucleo (ANA) associata alla evidenza di glomerulonefrite a depositi di IgA [4].

Noi riportiamo un caso in cui il trattamento con adalimumab di artrite reumatoide (AR) ha slatentizzato una glomerulonefrite a depositi di IgA, con caratteri di severità clinica e istologica all’esordio.

Descrizione del caso

Uomo di 60 anni ricoverato ad agosto 2010 nel nostro reparto di degenza, per insufficienza renale a rapida progressione.

L’anamnesi era positiva per diabete mellito di tipo 1, noto da circa 36 anni, in terapia insulinica; ipotiroidismo da circa dieci anni, in trattamento ormonale. In età infantile il paziente era stato sottoposto a tonsillectomia.

Nel 1994 era stata posta diagnosi di AR, trattata prima con methotrexate e ciclosporina, poi, a marzo 2009, con adalimumab.

La funzione renale e l’esame delle urine erano sempre stati normali; in particolare, non erano mai stati rilevati segni di nefropatia diabetica o ematuria. Nel luglio 2009 la proteinuria sulle urine delle 24 ore era del tutto assente.

Nel novembre 2009 si rilevava l’esordio clinico di una sindrome nefrosica (proteinuria 5-6 g nelle 24 ore) con funzione renale normale. Adalimumab è stato cautelativamente sospeso, ottenendo una parziale remissione della sindrome nefrosica (proteinuria 2.5 g/24 ore). Dopo poche settimane dall’esordio, il paziente è stato sottoposto a biopsia renale in altro Centro, con diagnosi di glomerulonefrite mesangioproliferativa a depositi di IgA con basso indice di sclerosi glomerulare (1 glomerulo su 7). È stata pertanto avviata terapia steroidea con boli endovenosi ad alte dosi (1 g di metilprednisolone ev per 3 giorni nei mesi 1, 3 e 5) e somministrazione orale continuativa (0.5 mg/kg di prednisone a giorni alterni) per 6 mesi. Tuttavia, il trattamento non ha determinato alcun beneficio sostanziale, con persistenza di proteinuria > 3 g/24 ore. Al termine del ciclo terapeutico, si assisteva a progressione piuttosto rapida di insufficienza renale (creatininemia sino a 3.06 mg/dl), per cui il paziente veniva ricoverato nel nostro reparto.

Al ricovero, il paziente presentava edemi declivi improntabili in assenza di altri segni di scompenso cardiaco. Si confermava la presenza di disfunzione renale di grado moderato-severo (creatininemia 2.4 mg/dl, eGFR secondo MDRD 29 ml/min/1.73 mq); erano presenti ipoalbuminemia con aumento relativo di alfa2globuline; microematuria, proteinuria 6.27 g/24 ore. Il profilo autoimmunitario era caratterizzato dalla completa negatività della ricerca di ANCA, ANA, ENA e anti-membrana basale glomerulare; le frazioni C3 e C4 circolanti erano conservate. All’esame del sedimento urinario erano presenti numerosi cilindri ialini e rari cilindri eritrocitari.

In relazione alla recente comparsa di sindrome nefritica, sovrapposta alla sindrome nefrosica presente da alcuni mesi, è stato ritenuto indispensabile procedere a una nuova biopsia renale.

L’esame istologico ha documentato un quadro di glomerulonefrite con proliferazione endocapillare e extracapillare, con necrosi glomerulare focale e segmentale. La immunofluorescenza ha confermato la deposizione glomerulare di IgA e di C3 (Figure 1-4).

Il paziente è stato sottoposto quindi a terapia steroidea ad alte dosi (induzione con 3 boli di metilprednisolone 500 mg ev e mantenimento con prednisone 1 mg/kg), associata a trattamento citotossico (ciclofosfamide 2 mg/kg/die) per os. Lo schema è stato proseguito per 6 mesi. La funzione renale è progressivamente migliorata, raggiungendo valori solo ai limiti inferiori di norma (creatininemia 1.3 mg/dl circa, eGFR 60 ml/min/1.73 mq); la proteinuria è scomparsa. In considerazione della severità del quadro clinico e istologico, è stata impostata terapia di mantenimento con azatioprina, proseguita per 18 mesi. A distanza di 5 anni la funzione renale è stabile e la proteinuria è assente.

Adalimumab non è mai stato ripreso.

Discussione

Ancorchè sia nota l’associazione epidemiologica tra DM1, AR e IgAN, è plausibile ritenere che nel nostro caso adalimumab abbia contribuito alla patogenesi della glomerulonefrite.

Infatti, AR e DM1 erano presenti da anni/decenni, mentre i primi segni di nefropatia (i.e. proteinuria) sono comparsi solamente poche settimane dopo l’inizio del trattamento con adalimumab, mentre qualsiasi segno di nefropatia era assente in precedenza.

Seppur rari, sono stati riportati in letteratura diversi casi di patologia glomerulare in corso di terapia con inibitori di TNF-α.

Oltre ai report già citati in precedenza, sono stati documentati casi di sindrome simil-lupica, con sviluppo di anticorpi anti-nucleo (ANA) e anti-DNA nativo, con interessamento renale [5] (full text). L’utilizzo di inibitori di TNF- α è stato associato allo sviluppo di una glomerulonefrite proliferativa extracapillare necrotizzante, con positività della ricerca di anticorpi anti-membrana basale glomerulare, in un singolo caso [6]

I meccanismi che sottendono allo sviluppo di glomerulonefriti in corso di terapia con agenti anti-TNF- α non sono chiari. È degno di nota il fatto che nella maggior parte delle forme sinora descritte sono stati rilevati depositi di immunocomplessi glomerulari, sia a livello del mesangio sia della membrana basale glomerulare. A ciò consegue costantemente una proliferazione cellulare accompagnata spesso da essudazione; talora, come nel caso da noi descritto, il processo infiammatorio è tanto severo da determinare necrosi glomerulare e proliferazione extracapillare. In effetti è stato dimostrato che alcuni pazienti sottoposti a terapia biologica anti-TNF- α sviluppano anticorpi diretti contro tali farmaci [7]. Tuttavia, un ruolo degli autoanticorpi anti-chimerici nella patogenesi delle patologie glomerulari secondarie deve ancora essere provato. La distanza temporale tra la sospensione di adalimumab e la progressione del danno glomerulare in una forma attivamente infiammatoria è coerente con una patogenesi immunomediata, in cui adalimumab potrebbe aver rivestito il ruolo di aptene, piuttosto che con un effetto tossico diretto del farmaco a carico delle cellule glomerulari. Anche l’osservazione che la sospensione del farmaco non abbia determinato alcun miglioramento delle manifestazioni renali, se non in forma estremamente parziale e transitoria, è coerente con questa ipotesi.

È stato anche riportato un caso di glomerulonefrite necrotizzante pauci-immune associata a nuova positivià ANCA/mieloperossidasi, secondaria a inibizione di TNF- α con infliximab [8]; un secondo caso di glomerulonefrite pauci-immune è stato registrato con etanercept [9]. In questi casi, è difficile ipotizzare un meccanismo mediato da immunocomplessi. Non è trascurabile l’ipotesi che l’inibizione di TNF- α per se possa contribuire allo sviluppo della glomerulonefrite. Infatti, benchè esistano prove piuttosto solide che TNF- α sia up-regolato in corso di glomerulonefriti necrotizzanti (ivi comprese le forme ANCA-associate primitive), il trattamento con inibitori di TNF- α non ha determinato alcun risultato significativo nelle diverse esperienze in cui è stato testato [10] (full text).

Un’ipotesi alternativa postula che, in corso di terapia biologica, la maggior frequenza di infezioni virali e/o batteriche, anche subcliniche, predisponga a reazioni autoimmunitarie attraverso diversi meccanismi quali mimetismo molecolare, espansione epitopica o attivazione di cellule bystander [11]. Le patologie glomerulari che conseguono sarebbero pertanto da annoverare tra le forme metainfettive. In effetti, è noto che le manifestazioni cliniche della glomerulonefrite a depositi di IgA possano essere esacerbate da infezioni mucosali. Inoltre, infezioni stafilococciche localizzate o sistemiche possono complicarsi con una glomerulonefrite con depositi di IgA glomerulari. Nel nostro caso, tuttavia, non furono registrati eventi infettivi di rilievo clinico, ma ciò non esclude che un’infezione subclinica abbia rappresentato il trigger patogenetico. 

Quale che sia stato il meccanismo patogenetico, la glomerulonefrite che abbiamo descritto ha presentato una drammatica risposta al trattamento citotossico, ma non alla monoterapia steroidea. Il trattamento è stato guidato dalla severità del danno glomerulare, che comprendeva necrosi e proliferazione extracapillare. La remissione è mantenuta a lungo termine, in assenza di terapia specifica. 

Conclusioni

Abbiamo riportato un caso di glomerulonefrite a IgA che si è manifestata dopo trattamento con adalimumab, un farmaco biologico anti-TNF-α. La patologia glomerulare era caratterizzata da intensa attività infiammatoria, con corrispettiva severità clinica, tanto da richiedere terapia citotossica. È stata ottenuta una remissione duratura; adalimumab è stato però sospeso definitivamente. Poichè analoghe esperienze sono state già descritte in Letteratura, suggeriamo uno stretto monitoraggio della funzionalità renale e delle esame delle urine nei pazienti in trattamento con agenti che interferiscono con TNF-α.