Una finestra sulla perfusione: l’emogasanalisi da catetere venoso centrale

Introduzione

L’esigenza di monitorare l’equilibrio acido base, gli elettroliti, il valore di emoglobina rende l’emogasanalisi (EGA) un esame frequentemente effettuato nei pazienti in trattamento emodialitico. La valutazione delle pressioni parziali dei  gas ematici e dei valori derivati (P/F, Differenza alveolo-arteriosa di O2) nel paziente dializzato con segni e/o sintomi di dispnea, supporta il nefrologo  nella scelta di trattare o trasferire il paziente in reparto a maggior intensità di cure, aiuta ad esplorare, al letto dell’ammalato, il grado di imbibizione del parenchima polmonare e suggerisce le dosi per una appropriata ossigenoterapia (Marano M 2012 [1]). La presenza della fistola arterovenosa rappresenta un privilegiato accesso al sangue arterioso evitando il ricorso alla puntura diretta di un’arteria. Nei pazienti portatori di cateteri  giugulari, la valutazione delle pressioni parziali di ossigeno (PO2) e di anidride carbonica (PCO2) è raramente effettuata.  Tuttavia questa consente   di monitorare i cosiddetti “micro-parametri”,  segni precoci di deterioramento emodinamico, alla ricerca  della ipoperfusione occulta dei parenchimi, che  almeno nei pazienti acuti della terapia intensiva aumenta la mortalità (Howel MD 2007 [2]). Tale asintomatica ipoperfusione parenchimale  se reiterata durante le sessioni dialitiche, potrebbe avere effetti deleteri a lungo termine per la popolazione dei pazienti uremici.  

L’emogasanalisi su campione di sangue prelevato dalla giunzione vena cava/atrio destro, dove appunto è posizionata la punta del catetere venoso centrale (CVC), consente di valutare PO2 e PCO2 prima che gli scambi gassosi a livello polmonare ne modifichino i valori. Tali parametri rappresentano degli indicatori della respirazione cellulare e quindi  dello stato di ossigenazione e del metabolismo dei tessuti (Schiraldi F  2012 [3]). Il prelievo da CVC è oggi considerato una valida ed attendibile alternativa al cateterismo invasivo dell’arteria polmonare (Reinhart K 2004 [4])

PO2 ed SO2 da CVC (PVCO2 & SVCO2)

Di norma la PO2 nel sangue venoso centrale (PVCO2) è ≈ 40 mmHg cui corrisponde una percentuale di saturazione dell’emoglobina (SVCO2) di ≈75%. In questo ambito di valori, al contrario di quelli propri del sangue arterioso, la relazione tra PO2 e SO2 è lineare e quest’ultimo parametro, tecnicamente più semplice da acquisire, viene sempre più spesso utilizzato quale indicatore della ossigenazione dei tessuti (Bloos F 2005 [5]) anche per la possibilità di un monitoraggio continuo. E’ ormai consolidata evidenza, inoltre, che la valutazione seriata dei parametri, piuttosto che il loro singolo valore, rappresenti la più appropriata modalità di monitoraggio dello status emodinamico dei pazienti (Vincent JL  2011 [6] (full text)).  La SVCO2 è considerato un marker surrogato della gittata cardiaca e nei pazienti uremici ammessi in terapia intensiva viene posizionato, quando non già presente, un catetere venoso giugulare proprio per monitorare l’andamento di tale parametro  (Szamosfalvi B  2013 [7]). Anche al di fuori dal contesto intensivistico il monitoraggio SVCO2 nei pazienti in  trattamento emodialitico si è dimostrato utile, infatti nei pazienti predisposti all’ipotensione la sua riduzione precede la complicanza emodinamica  (Cordtz J Hemodial Int. 2008 [8]).  Sebbene la  SVCO2 rappresenti un indicatore sensibile della globale ossigenazione dei parenchimi, non è tuttavia un indice specifico, perché la sua riduzione al di sotto del valore di riferimento (≈75%) può essere conseguenza sia del ridotto apporto di sangue ossigenato (per ridotta gittata cardiaca, anemia, ipossia) sia di un aumentata richiesta di ossigeno da parte dei tessuti (tremore, febbre, dolore) (Bloos F 2005 [5]Schiraldi F 2012 [3]). Analogamente un valore normale o anche elevato può essere espressione di una normo o iperossigenazione ma può anche essere determinato da  una maldistribuzione del flusso ematico come si verifica in alcune forme di shock settico e anafilattico. In tale evenienza il sangue ossigenato  ritorna al circolo venoso bypassando i parenchimi. Nonostante l’assenza di specificità la correzione di tale valore, quando compromesso, rappresenta uno step fondamentale per il ripristino di adeguate condizioni emodinamiche (Rivers E  2001 [9] (full text)).

Estrazione periferica di O2 (oxygen extraction ratio: OER)

Quando è possibile conoscere contemporaneamente sia il valore di saturazione nel sangue arterioso (SaO2 o in alternativa della saturazione pulsata di ossigeno fornita dal pulsiossimetro) che perfonde i parenchimi, sia la saturazione del sangue refluo dagli stessi, rappresentato dalla SVCO2,  si può calcolare la percentuale di estrazione tessutale di ossigeno [(SaO2-SVCO2)/SaO2*100] il cui valore normale è  20-25% e che rappresenta il meccanismo di compenso messo in atto quando l’apporto di O2 è inadeguato rispetto al fabbisogno (Schiraldi F  2012 [3]).  Encefalo e miocardio già di norma presentano elevate estrazioni di ossigeno e sono dunque maggiormente esposti ai danni da inadeguato apporto, gli altri organi invece possono incrementare il loro OER  fino al 40% e oltre, ma  solo per brevi periodi (Bloos F 2005 [5]). Quanto maggiore è l’OER  tanto più basso sarà il valore di  SVCO2; entrambi i parametri tenderanno a tornare verso i rispettivi valori normali in presenza di un adeguato approccio terapeutico che può essere rappresentato dal ripristino della volemia con adeguata reinfusione di liquidi, dal ripristino della capacità di trasporto di ossigeno ottenibile con l’aumento dei valori di emoglobina, dal miglioramento della gittata cardiaca perseguibile ottimizzando la terapia cardiologica, dal miglioramento della ossigenazione inficiata dalla imbibizione dell’interstizio polmonare.

PCO2 nel sangue venoso centrale: PVCCO2

Anche i valori della PCO2 nel sangue venoso centrale (Valore normale nei soggetti non uremici <45mmHg) sono espressione di disturbi metabolici e tissutali, a differenza di quelli arteriosi che riflettono la ventilazione polmonare. In presenza di severe riduzioni della gittata cardiaca, fino al caso estremo dell’arresto cardiaco (Adroguè HJ 1989 [10]), il mancato apporto di ossigeno ai tessuti impone un viraggio anaerobico del metabolismo con conseguente acidosi lattica ed iperproduzione di CO2 che si riversa nel torrente ematico. Il prelievo effettuato dal CVC è in grado di cogliere questa acidosi ipercapnica da ipoperfusione (acidosi metabolica da acidi volatili) prima che il passaggio nel circolo polmonare, eliminando l’eccesso di CO2, possa mascherarne la presenza. Infatti in questi casi l’EGA da sangue arterioso, dunque a valle del circolo polmonare, in presenza di ventilazione ancora efficiente, mostrerà valori di PCO2 normali o addirittura ridotti per la un eccesso del rapporto ventilazione/perfusione.

Differenza veno-arteriosa di PCO2: PV-ACO2

In tutti i casi in cui la presenza di comorbidità altera i valori di PCO2 arteriosa, sia in eccesso che in difetto,  tali alterazioni si ripercuotono sul valore di PVCCO2, simulando o misconoscendo deficit perfusivi. Un esempio particolarmente pertinente è rappresentato  dalla uremia. Infatti la presenza di acidosi metabolica determina una riduzione compensatoria della PCO2 arteriosa variabile in base alla riduzione della bicarbonatemia (Adrogué HJ 2010 [11] (full text)). Già per concentrazioni di bicarbonato di poco  ridotte, la PCO2 arteriosa si riduce in modo evidente (ad esempio in presenza di bicarbonatemia ≈ 20 mEq/L la PCO2 arteriosa di norma si riduce a ≈ 35 mmHg). Se tali pazienti sviluppano una complicanza emodinamica che riduce la gittata cardiaca  (ad esempio un edema polmonare acuto o una severa bradicardia da iperkaliemia) e l’apporto di ossigeno ai parenchimi è inadeguato, un patologico aumento della PVCO2 può non raggiungere il valore soglia di 45mmHg. Speculare è l’esempio del paziente broncopatico ed ipercapnico  che inevitabilmente presenta elevati valori anche di PVCCO2 pur riversando minime  quantità di CO2 nel sangue venoso. L’esecuzione contemporanea di EGA arteriosa ed EGA da CVC consente di calcolare la differenza di PCO2 tra sangue venoso centrale e sangue arterioso (Pv-aCO2, valore normale <5mmHg) che rappresenta un indicatore fedele e  tempestivo della respirazione mitocondriale.  Inoltre il monitoraggio della Pv-aCO2 conserva la sua validità anche in condizioni di maldistribuzione del flusso (per esempio durante una sepsi da CVC o una reazione anafilattica) quando OER e SVCO2 presentano valori falsamente tranquillizzanti (Schiraldi F 2012 [3])

CASE REPORT

D.D. (maschio, 79 anni, in dialisi da 44 mesi, portatore di CVC in vena giugulare destra ) è affetto da malnutrizione  con severo  scadimento delle condizioni generali,  ipertensione arteriosa, severa vasculopatia cerebrale, cardiopatia ischemica con pregresso infarto anteriore del miocardio  e ridotta FE. E’ portatore inoltre di voluminoso  aneurisma aortico per il quale, in accordo con il paziente ed i familiari  si è deciso di non perseguire soluzioni chirurgiche. In conseguenza di tali patologie e per la progressiva riduzione del peso secco il paziente è cronicamente dispnoico,  obnubilato ed iporesponsivo.  Dopo un breve ricovero per il trattamento di una frattura femorale il paziente rientra presso l’ ambulatorio di emodialisi con una più marcata dispnea, per cui viene effettuata EGA da CVC e contemporaneamente EGA arteriosa per puntura diretta dell’arteria omerale per il troppo esiguo calibro della radiale. I referti delle due EGA sono riportati in tabella.

Tabella 1  Referti delle emogasanalisi eseguite dall’arteria omerale e dal CVC

ARTERIOSA

VENOSA CENTRALE

pH

7.42

7.41

PO2 mmHg

52

27

SO2%

83

51

Differenza alveolo-arteriosa di O mmHg 

56

PCO2 mmHg

33

42

HCO3 mmHg

20.5

26.4

 

L’EGA arteriosa mostra riduzione dell’ossigenazione (↓PO2>; ↓SO2>) per inefficienza dello scambio polmonare (testimoniato dal marcato aumento della differenza alveolo-arteriosa di O2>) la cui causa potrebbe essere rappresentata da una imbibizione del parenchima polmonare o in alternativa da una fibrosi interstiziale. Non essendo disponibili prelievi precedenti non è possibile propendere per l’una o l’altra ipotesi.  La riduzione della PCO2 testimonia l’aumento della ventilazione quale compenso all’ipossia e alla riduzione della bicarbonatemia. L’analisi del campione venoso centrale mostra marcata riduzione della PVCO2 e della SVCO2 che potrebbero testimoniare una sofferenza ipossica dei parenchimi, per una eventuale sindrome da bassa gittata, ma potrebbero almeno teoricamente essere soltanto la conseguenza della insufficiente ossigenazione del sangue arterioso ed in tale eventualità, la dispnea andrebbe attribuita unicamente al difettoso scambio polmonare. La ingannevole  PVCO2 apparentemente nei limiti della norma potrebbe confermare tale supposizione diagnostica.

Il calcolo dell’OER (38%) e della Pv-aCO2 (9 mmHg) rivela tutt’altra situazione. In aggiunta all’inefficienza dello scambio polmonare è presente infatti un inadeguato apporto di ossigeno ai tessuti che ricorrono al metabolismo anaerobico per soddisfare le esigenze energetiche non supportate da una adeguata gittata cardiaca.

Conclusioni

L’EGA da catetere venoso centrale, soprattutto se confrontata con quella arteriosa, consente di quantizzare il coinvolgimento dei singoli apparati nella globale compromissione di un paziente complesso. La valutazione seriata di alcuni microparametri fornisce una insostituibile opportunità di monitoraggio emodinamico nell’ambulatorio di emodialisi. Sempre più spesso è richiesta al nefrologo una  competenza multidisciplinare ed una visione intensivistica per la gestione di pazienti con  intricate comorbidità soprattutto nelle fasi di acuzie.