UN CASO DI CALCIFILASSI DOPO PARATIROIDECTOMIA

INTRODUZIONE

La calcifilassi o arteriolopatia calcifica uremica, è una malattia rara e grave che si manifesta prevalentemente nel paziente uremico in trattamento emodialitico cronico o con trapianto renale. (Adrogué HJ, Frazier MR, Zeluff B, Suki WN. – 1981) [1], (Kent RB 3rd, Lyerly RT. – 1994) [2].

Dal punto di vista anatomopatologico è caratterizzata da calcificazioni che coinvolgono la tonaca media delle arteriole di medio e piccolo calibro del tessuto sottocutaneo e del derma. (Figura 1). Il meccanismo patogenetico non è del tutto noto. L’iperparatiroidismo, la somministrazione di vitamina D, gli elevati livello di fosforo, di calcio o del prodotto calcio-fosforo sembrano essere dei fattori di rischio. Alcuni studi suggeriscono che anche il sesso femminile, un BMI maggiore di 30, farmaci quali il warfarin, i chelanti del fosforo a base di calcio, analoghi della Vit D, stati di ipercoagulabilità e ipoalbuminemia e l’anemia in trattamento con EPO e ferro ev possano rappresentare ulteriori fattori di rischio. (Mazhar AR, Johnson RJ, Gillen D, et al. – 2001) [3] (full text), (Nigwekar SU, Wolf M, Sterns RH, Hix JK. – 2008) [4] (full text) , (Weenig RH, Sewell LD, Davis MD, et al. – 2007) [5], (Fischer AH, Morris DJ. – 1995) [6].

CASO CLINICO

Abbiamo osservato un paziente maschio di razza caucasica di anni 59, in trattamento con bicarbonato dialisi trisettimanale presso il nostro Centro dal dicembre 2004.

In anamnesi si segnala: IRC secondaria a pielonefrite cronica; obesità, ipertensione arteriosa.

Sono stati allestiti numerosi accessi vascolari dal 2004 al 2010. Nel 2010 è stato posizionato un CVC permanente in vena giugulare interna per esaurimento del letto vascolare e comparsa di sindrome ischemica alla mano della FAV.

Nel dicembre 2010 ha presentato un episodio di infarto miocardico acuto per cui è stato sottoposto a 2 procedure coronarografiche con riscontro di lesioni critiche multiple alla discendente anteriore ed ha eseguito una PTCA che è risultata inefficace .

Nel luglio 2011 è stato quindi sottoposto a intervento di by -pass aorto coronarico.

Nel febbraio 2011 ha subito PTA per arteriopatia obliterante bilaterale agli arti inferiori.

Nel luglio 2012 ha iniziato terapia anticoagulante orale per problemi ricorrenti di ostruzione e malfunzionamento del CVC per emodialisi.

Dal 2005 è presente un grave iperparatiroidismo secondario associato a iperfosforemia e normo-ipercalcemia (PTH 1100-1800pg/ml, Fosforemia 7-11mg/dl, Calcemia 9-11,4 mg/dl). Le indagini radiografiche mostrano deformazioni artrosiche, cedimento vertebrale a livello di D11, periartrite calcarea e calcificazioni vascolari diffuse.

Negli anni non si è mai ottenuto un adeguato controllo della fosforemia a causa della scarsa compliance all’utilizzo dei chelanti del fosforo.

Dal 2005 si è passati al trattamento con emodiafiltrazione on line di 5 h per migliorare l’efficienza dialitica.

Nel giugno del 2012, dopo riscontro di PTH 3044 pg/ml, il paziente è sottoposto ad intervento di paratiroidectomia sub-totale. Nel successivo periodo il PTH si è mantenuto costantemente al di sotto dei valori normali (PTH < 10 pg/ml.) con calcemia totale 8 ± 0,5 mg/dl: e ionizzata 0.96 ± 0.4 mmol/L.

Nel luglio 2013 il paziente viene ricoverato per la comparsa di lesioni sottocutanee diffuse a livello della parete addominale dolenti spontaneamente ed alla palpazione. All’ecografia si evidenziano lesioni iperecogene a contorni mal definiti a livello sottocutaneo (Figura 2). Le lesioni si diffondono successivamente agli arti inferiori e si ulcerano (Figura 3).

In data 20.8.13 il paziente è sottoposto a biopsia cutanea delle lesioni che risulta compatibile con la presenza di calcifilassi.

Viene sospesa la terapia con warfarin, proseguendo con clopidogrel ed eparina sotto cute. Il paziente a causa delle scadenti condizioni generali, è ospitato presso una casa di riposo dove si ottiene una migliore aderenza alla dieta ipofosforica ed una corretta assunzione dei chelanti privi di calcio.

Nello stesso periodo si riduce la concentrazione di calcio nel bagno dialisi (Ca++1.25 mMol/L) ed il paziente viene trattato con Sodio Tiosolfato 25 gr in soluzione fisiologica 250 ml ev, tre volte la settimana, a fine dialisi. Viene anche intrapresa ossigenoterapia per tutta la durata della dialisi (10 lt/min al 100% con mascherina e reservoire) e per due ore al di al domicilio. Come terapia locale per il trattamento delle lesioni sono utilizzati preparati a base di alginato idrocolloide e carbossimetilcellulosa.

CONCLUSIONI

Il nostro paziente presenta molti dei fattori che si ritengono predisponenti allo sviluppo della calcifilassi, quali un BMI maggiore di 30, una costante e prolungata iperfosforemia con prodotto calcio-fosforo elevato, un iperparatiroidismo marcato, oltre all’uso di warfarin per oltre un anno prima della comparsa delle lesioni.

Assumeva anche terapia con epoietina e ferro e.v. che sembrano poter incrementare il rischio di calcifilassi. (Mazhar AR, Johnson RJ, Gillen D, et al. – 2001) [3] (full text)(Weenig RH, Sewell LD, Davis MD, et al. – 2007) [5](Amuluru L, High W, Hiatt KM, et al. – 2009) [7](Farah M, Crawford RI, Levin A, Chan Yan C. – 2011) [8] (full text).

La particolarità del nostro caso clinico è rappresentata dallo sviluppo della malattia dopo la paratiroidectomia  subtotale con la conseguente riduzione del PTH e del prodotto calcio-fosforo.

Paradossalmente la manifestazione della patologia nel nostro caso si è avuta nel momento di “minore rischio” in termini dei fattori favorenti la calcifilassi (Hafner J, Keusch G, Wahl C, et al. – 1995) [9].

L’ossigeno terapia e il Tiosolfato di sodio sono stati, viceversa, molto utili, contribuendo alla completa guarigione delle lesioni (Figura 4). Questo dato concorda con quello di altri studi che hanno utilizzato queste terapie nella calcifilassi in pazienti dializzati (Nigwekar SU, Brunelli SM, Meade D, et al. – 2013) [10] (full text)(Baldwin C, Farah M, Leung M, et al. – 2011) [11](Basile C, Montanaro A, Masi M, et al. – 2002) [12].

Il dosaggio del Tiosolfato da noi utilizzato è quello riportato in letteratura e, non essendoci dati standardizzati sulla durata della terapia, abbiamo preferito continuare a tutt’oggi il trattamento. Dopo 18 mesi di terapia con Sodio Tiosolfato il paziente è libero da manifestazioni legate alla calcifilassi e non abbiamo registrato eventi avversi.