Background
La “Trombosi Atriale destra coRrelata a Cateterismo venoso”(CRAT) è una complicanza riportata raramente, legata probabilmente traumatismo che la la punta del catetere esercita ripetutamente sulla parete atriale durante le varie fasi della contrazione cardiaca.
Le conseguenze possono essere gravi fra cui embolia polmonare, embolia settica, aritmie, complicanze meccaniche cardiache e nel caso di pervietà del forame ovale anche possibilità di embolia sistemica.
Nel paziente non in dialisi, la miglior condotta terapeutica fra anticoagulazione, trombolisi e trombectomia chirurgica non è mai stata valutata in studi controllati.
Nel paziente emodializzato l’approccio terapeutico è ancora più complesso per le peculiarità di questa popolazione di pazienti, fra tutte la necessità di continuare una terapia sostitutiva renale e il tasso elevato di comorbidità.
Probabilmente sottodiagnosticata e poco descritta, in letteratura sono meno di 100 i casi ben documentati (complicanze, terapia, outcome) della trombosi atriale correlata a catetere venoso centrale nei pazienti in dialisi.
Il caso e la diagnosi
Riportiamo il caso di una paziente poratrice di catetere venoso centrale temporaneo per dialisi mantenuto in sede per 3 mesi.
Il motivo di una insolitamente lunga permanenza del catetere venoso centrale temporaneo è stato il fatto che la paziente risultava eligibile a breve per trapianto da donatore vivente. Il CVC d’altronde aveva sempre garantito ottimi flussi dialitici e l’emergenza cutanea risultava esente da evidenza di fatti infettivi
Proprio in corso di una ecocardiografia, eseguita nell’ iter diagnostico propedeutico al trapianto, è stata riscontrata una massa occupante spazio aderente alla parete atriale in adiacenza dell’estremo della punta del CVC. La paziente non aveva lamentato alcuna sintomatologia clinica di rilievo anche se, a posteriori, sospetta è risultata una lieve dispnea associata a episodi di tosse, interpretata al momento come di origine bronchitica acuta e trattata empiricamente con fluorochinolonici.
La paziente veniva ricoverata in osservazione in unità di terapia intensiva cardiologica dove veniva impostato l’iter diagnostico differenziale (essenzialmente con il mixoma atriale) e per questo venivano eseguite una TC toracica (Figura 1) ed una RNM.
La condotta terapeutica
Dal momento della diagnosi la paziente è stata posta in terapia anticoagulante, inizialmente con eparina a basso peso molecolare.
Per consentire la prosecuzione della terapia dialitica è stato posizionato un catetere venoso temporaneo in vena femorale e veniva impiantato un catetere peritoneale per il successivo futuro dialitico.
La terapia con eparina a basso peso molecolare veniva quindi embricata con anticoagulazione orale e il CVC giugulare, che anche all’ecocardiografia risultava svincolato dalla massa atriale, rimosso senza complicanze.
La paziente veniva quindi dimessa a domicilio con l’indicazione a proseguire la terapia anticoagulante con target INR 2-3 e seguita ambulatoriamente per mezzo di ecocardiografie seriate.
A distanza di 5 settimane dall’inizio della terapia anticoagulante si documentava la completa scomparsa della massa atriale. La paziente iniziava la terapia dialitica peritoneale e non si sono verificate ulteriori complicanze fino al trapianto renale da donatore vivente tuttora ben funzionante.
Conclusioni
A seguito di una recente revisione della letteratura, Stavroulopoulos A [1] ha proposto un algoritmo terapeutico (Figura 2) per i pazienti con trombosi atriale destra correlata a cateterismo venoso centrale per dialisi
Il cardine di questo algoritomo è la rimozione del catetere associato ad una terapia anticoagulante (sia orale che con LMWH) da mantenere per lungo tempo (fino a sei mesi o a completa risoluzione del trombo) relegando la trombectomia chirurgica solo in quei casi con trombi di dimensioni superiori a 6 cm o nel caso di complicanze durante la terapia medica.
Pur non conoscendo inizialmente questo lavoro, la nostra paziente è stata gestita proprio in questo modo ottenendo la completa risoluzione del trombo a fornire una indiretta conferma all’algoritmo sopra citato.
Il caso ci è sembrato interessante per la relativa rarità ma anche perchè l’uso sempre più frequente di cateteri venosi centrali come accesso vascolare e dell’ecocardiografia come indagine diagnostica nei pazienti emodializzati, potrebbe portare in futuro ad un maggior riscontro di questa condizione.
Da ultimo la paziente era portatrice di un CVC temporaneo da 3 mesi. Come suggerito da Weijmer MC [2] (full text)ed in linea con la maggior parte delle linee guida i cateteri temporanei sono gravati da maggiori complicanze rispetto ai cateteri a permanenza già dopo poche settimane. Una sostituzione precoce con un catetere permanente meno traumatizzante e trombogenico avrebbe forse potuto evitatre questa complicanza.