TRATTAMENTO DELLA SINDROME DA INTOLLERANZA AL RENE TRAPIANTATO NON FUNZIONANTE (GIS) CON EMBOLIZZAZIONE PERCUTANEA. CASE REPORT

INTRODUZIONE

La sindrome da intolleranza al rene trapiantato non funzionante (Graft Intolerance Syndrome) è inquadrabile come un complesso sintomatologico caratterizzato da febbre, dolore locale, ipertensione ed ematuria (Silberman H -1980).

Essa può insorgere, particolarmente nel primo anno, in pazienti portatori di un trapianto renale non più funzionante che rientrano in dialisi. Generalmente insorge con la sospensione della terapia immunosoppressiva.

Il trattamento convenzionale  prevede un trattamento con antinfiammatori o, in caso di insuccesso, la rimozione chirurgica del graft. Da alcuni anni, lo sviluppo di nuove tecniche agiografiche, ha reso possibile l’angio-embolizzazione del graft non più funzionante evitando la rimozione dell’organo (Capocasale E. – 2005)(González-Satué C – 2000)

CASO CLINICO

Paz. maschio di 24 anni, portatore di trapianto renale da cadavere in fossa iliaca destra dall’età di 10 anni, rientrato in dialisi da circa due mesi per nefropatia cronica del trapianto, che si ricovera per comparsa di ematuria franca da circa 48 ore associata a febbre e dolore in corrispondenza del rene trapiantato.

Il paziente, all’epoca del trapianto e contestualmente all’intervento, era stato sottoposto a nefrectomia destra per rene idronefrotico pielonefritico.

L’ultima terapia praticata prima della ripresa del trattamento dialitico comprendeva: Ciclosporina 25 mg x 2/die, Acido Micofenolico 360 mg x 2/die, Prednisone 75 mg a dì alterni, Ramipril 12.5 mg/die, Carvedilolo 6.25 mg x 2/die, Terazosina 2 mg/die, Clonidina 300 mcg + 300 mcg + 150 mcg/die, Esomeprazolo 20 mg x 2/die, Allopurinolo 150 mg/die, Verapamil 120 mg/die, CERA 75 mcg ogni 15 giorni, Kayexalate 1 cucchiaio x 2/die, Calcitriolo 0.25 mcg 1 cp/die e Bicarbonato di sodio 1.5 g x 3/die. In concomitanza con l’inizio della terapia sostitutiva erano stati sospesi sia la ciclosporina che l’acido micofenolico, proseguendo il solo trattamento steroideo con posologia invariata di 75 mg a dì alterni. Al momento del ricovero gli esami bioumorali effettuati mostrano: azotemia 86 mg/dl, creatininemia 7.9 mg/dl, emoglobina 10.9 g/dl, piastrine 405000/mmc, INR 1.1, PTT 38.2 sec., VES 62, PCR 89.5 mg/dl. L’esame urine conferma la presenza di numerose emazie, con urinocoltura negativa. All’ecografia dell’addome il rene nativo superstite sinistro appare grinzo con ectasia pielica di II grado, mentre il rene trapiantato, situato in fossa iliaca destra, appare di forma e dimensioni nella norma con profili regolari e parenchima sufficientemente rappresentato ma iperecogeno e con differenziazione cortico-midollare non riconoscibile. E’ presente modesta dilatazione delle cavità calico-pieliche, senza chiare immagini usg riferibili a calcoli. All’ECD non visualizzati segni diretti di stenosi dell’arteria renale, emodinamicamente significativa, né segni indiretti a livello dei vasi arteriosi intraparenchimali. Indice di resistenza medio dei vasi parenchimali è 0.73. La vescica presenta pareti ispessite con minimo residuo post minzionale. La TC addome con m.d.c conferma il quadro di ectasia pielica del graft ed assenza di apprezzabile eliminazione di mezzo di contrasto anche al controllo tardivo, indice di scarsa funzionalità. La sintomatologia e la esclusione di altre possibili cause di ematuria inducevano il sospetto diagnostico  di sindrome da intolleranza al trapianto (GIS). L’urologo poneva indicazione all’espianto e, valutato il rischio operatorio emorragico legato all’uremia, si optava per l’embolizzazione selettiva delle arterie renali come alternativa terapeutica.

MATERIALI E METODI

Previo consenso informato il paziente ha eseguito angiografia del rene trapiantato con approccio arterioso transfemorale destro e cateterismo selettivo dell’arteria renale del graft.

Si eseguiva quindi il trattamento di embolizzazione renale attraverso varie fasi:

– Iniezione di microsfere di alcool polivinilico (Contour 350-500 micron), materiale embolizzante permanente, nei rami arteriosi segmentari (superiore, medio e inferiore nel nostro caso) per ottenere acclusione anche dei rami più periferici. (figura 1)

– Nei rami arteriosi embolizzati sono state successivamente posizionate particolari spirali metalliche (Azur 18) con lunghezza compresa tra 10 a 15 cm e con memoria di espansione capace di occupare vasi di calibro compreso tra tra 6 e 10 mm. Inoltre le spirali sono rivestite da materiale idrofilico che espandendosi favorisce l’occlusione trombotica del vaso. (figure 2,3)

– Successivamente altre spirali metalliche, con caratteristiche analoghe, sono state posizionate nel tratto medio dell’arteria renale.

Si proseguiva lo steroide a basso dosaggio (prednisone 7,5 mg a di alterni, attualmente ridotto a 2,5 mg/die.

RISULTATI

Il controllo angiografico al termine della procedura mostra completa occlusione del circolo arterioso renale e mancata visualizzazione del parenchima (figure 4)

Nell’immediato follow up:

– Nessuna complicanza connessa alla procedura

– Non sono comparse complicanze infettive del graft in situ  con morfologia ecografia stazionaria tendente alla riduzione dei diametri

– Clinicamente risoluzione dell’ematuria, fin dal termine della procedura, e graduale scomparsa della sintomatologia dolorosa

– All’eco-color-doppler si è confermata l’assenza di segnali vascolari

Dopo oltre un anno di follow-up non si è osservata ricomparsa dell’ematuria, né degli altri sintomi presenti al momento del ricovero. Al follow up ecografico il graft in situ è di ridotte dimensioni  con assenza di differenziazione cortico midollare e senza segni di raccolte ascessuali; al color-doppler assenza totale di vascolarizzazione dell’organo. 

Attualmente continua ad assumere prednisone 2,5 mg/die.

Dopo oltre un anno di follow-up non si è osservata ricomparsa dell’ematuria, né degli altri sintomi presenti al momento del ricovero. Al follow up ecografico il graft è di ridotte dimensioni  con assenza di differenziazone corticomidollare e senza segni di raccolte ascessuali; al color-doppler assenza totale di vascolarizzazione dell’organo.

CONCLUSIONI

Rimane controversa la questione se rimuovere o meno un rene trapiantato che ha terminato la sua funzione in assenza di complicanze. La persistenza del graft, pur se clinicamente silente, realizza una condizione di flogosi cronica (López – Gomez JM – 2004), ma d’altronde si è osservato anche che il livello di anticorpi anti HLA sale dopo espianto potendo compromettere un cross-match negativo per un secondo trapianto. (Bennet WM. – 2005) (Rosenberg JC)

La sindrome da intolleranza al rene trapiantato in situ non funzionante (GIS) è un complesso sintomatologico caratterizzato da febbre, dolore locale, ipertensione ed ematuria che può insorgere con la sospensione della terapia immunosoppressiva, particolarmente nel primo anno, in pazienti portatori di un trapianto renale non più funzionante e che rientrano in dialisi. La terapia convenzionale è rappresentata da antinfiammatori non steroidei o da corticosteroidi a basse dosi o dall’espianto del rene trapiantato in caso di mancata risposta clinica. La terapia chirurgica convenzionale è però associata a complicanze, emorragiche o infettive, in una percentuale compresa fra il 6 e il 25% , mentre la mortalità varia dallo 0 al 7% raggiungendo anche il 14% in alcune casistiche (Secin FP.- 2003) ( Mazzucchi E.-2003); ciò dovuto alla immunosoppressione, alle preesistenti comorbidità ed alle difficoltà tecniche della procedura. In alternativa all’espianto, in alcuni Centri, è utilizzata l’embolizzazione percutanea del graft (Capocasale E.-2005) (González-Satué C.-2000) (Cofán F.-1999). La terapia embolizzante è caratterizzata da morbilità e mortalità inferiori rispetto all’intervento chirurgico con risultati, a breve e medio termine, analoghi a quelli dell’espianto.

Sono considerate controindicazioni all’embolizzazione il rigetto iperacuto, la rottura di rene, la nefrolitiasi, l’idronefrosi, le complicanze vascolari irreversibili e le neoplasie.

Nel caso presentato la scelta della terapia embolizzante, in luogo dell’intervento tradizionale, è stata dettata dalla presenza di un elevato rischio operatorio legato alla diatesi emorragica, alla anemizzazione ed alle scadenti condizione generali.

L’osservazione clinica a distanza di oltre un anno mostra assenza di recidive e di complicanze legate all’intervento, con discreto benessere soggettivo del paziente.