LA CHIRURGIA DEI CATETERI PERITONEALI IN UNA PICCOLA REALTA’: NOSTRA ESPERIENZA

INTRODUZIONE

Il paziente uremico presenta un quadro clinico e bioumorale  le cui peculiarità lo rendono ad alto rischio per un trattamento chirurgico. Purtroppo non sono infrequenti le patologie che richiedono invece un approccio chirurgico, particolarmente nella dialisi peritoneale in cui l’utilizzo della cavità addominale di per sé può creare complicanze (esempio, peritoniti), od aumentare l’incidenza di ernie, diverticoliti, specie nella persona anziana. Il rischio anestesiologico può essere accentuato oltre che dall’uremia anche da patologie frequentemente associate quali l’ipertensione, il diabete, l’anemia, l’alterazione della coagulazione, l’ipoalbuminemia. Presso la nostra U.O.C. dal 1999 abbiamo avviato un programma di dialisi peritoneale ambulatoriale e dopo i primi due anni in cui il posizionamento del catetere peritoneale e le eventuali complicanze erano affidate al chirurgo di turno è stato realizzato con la U.O.C. di Chirurgia Generale un protocollo che prevedeva l’impiego sempre dello stesso chirurgo per la gestione dei pazienti in dialisi peritoneale. (Henderson S. 2009 [1] (full text))

METODO

Abbiamo rivalutato una popolazione di pazienti uremici giunti alla nostra osservazione negli ultimi 10 anni. Si trattava di 79 pazienti che hanno eseguito 81 accessi per chirurgia, 49 uomini (62%) e 26 donne (33%) e 4 bambini (5%) (figura 1). L’età media era 61.5 anni, con estremi compresi tra i 9 e 82 anni. L’intervento si svolge in sala operatoria centrale con assistenza dell’anestesista, in anestesia locale con infiltrazione di carbocaina al 2% con eventuale assistenza anestesiologica con sommistrazione di Midazolam e/o Fentanest, solo in 4 casi si è resa necessaria intubazione e curarizzazione del paziente. La tecnica di impianto del catetere è stata sempre chirurgica “a cielo aperto” con incisione della parete addominale in regione transrettale destra. Il catetere usato è stato sempre lo stesso modello autolocante tipo Di Paolo della ditta Braun Carex (Asif A [2]). Tutti gli interventi venivano eseguiti sempre dallo stesso chirurgo con il coinvolgimento in sala operatoria del nefrologo. Il paziente era sottoposto a profilassi antibiotica short-time con cefalosporina di 3ª generazione.

RISULTATI

Dall’analisi retrospettiva si evidenzia che  non si è osservata nessuna complicanza precoce nel posizionamento del catetere peritoneale. Tra le complicanze tardive si è avuta 1 dislocazione del catetere peritoneale in sede sottoepatica che è stata prontamente risolta in video laparoscopia. Inoltre si sono avute 3 infezioni dell’exit site tutte risolte con cuff-sheaving e rimozione della cuffia sottocutanea. Nessun paziente è stato costretto alla sospensione della metodica per problemi legati al catetere (figura 1).

CONCLUSIONI

La procedura di inserimento e correzione di eventuale complicanze condotte da un equipe mista  chirurgo e nefrologo  è fondamentale per la riuscita di tale chirurgia in condizioni di sicurezza ed affidabilità (Wilkie M [3] (full text)). La tecnica chirurgica standardizzata ed affidata sempre allo stesso operatore sicuramente ha ridotto le complicanze confermando i dati presenti in letteratura. L’utilizzo della sola anestesia locale ha notevolmente ridotto i rischi anestesiologici per questa tipologia di pazienti. Una procedura standardizzata è sicuramente consigliata in un piccolo centro dove il buon funzionamento del catetere è importante per la buona riuscita del trattamento peritoneale (Afolalu B [4] (full text)).