Introduzione
L’ipotiroidismo è una patologia di frequente riscontro clinico e la levotiroxina sodica (Ls) (Figura 1) è il farmaco di elezione nel trattamento a lungo termine. Si tratta di una terapia “sostitutiva”, in genere ben tollerata e, a dosaggi adeguati, priva di particolari effetti collaterali. Un’attenta regolazione del dosaggio è il requisito essenziale della risposta terapeutica in ragione della peculiarità della molecola in termini di concentrazione ematica, profilo farmacocinetico, bioequivalenza e assorbimento (“M. Centanni – 2013”). [1]. La Ls va somministrata per via orale preferibilmente al mattino, a digiuno. Il suo assorbimento è influenzato da alcuni cibi (caffè, fibre alimentari) oltre che da malattie (celiachia, intolleranze al lattosio, infezioni da Helicobacter pylori) e da farmaci (potrebbe interagire con ipoglicemizzanti e derivati cumarinici e l’effetto terapeutico potrebbe essere alterato dall’assunzione di colestiramina, solfato ferroso, sucralfato, ferro, calcio carbonato, inibitori di pompa, antiacidi contenente alluminio, antiepilettici, barbiturici, estrogeni e raloxifene). Assorbita a livello gastro-intestinale (60-80% della dose totale assunta con un picco massimo tra 30 e 60 minuti), si lega per il 99.97 % ad una proteina plasmatica specifica (Tirosyne Binding Globulin) e alla pre-albumina, solo lo 0.03% è presente in forma libera. Metabolizzata nel fegato e nei reni e parzialmente convertita a metabolita inattivo, esplica la sua azione con il legame a recettori T3 e viene, poi, escreta con la bile. L’emivita è di 6-7 giorni nei soggetti eutiroidei, aumenta fino a 10 giorni nell’ipotiroidismo e diminuisce fino a 3 nell’ipertiroidismo (“Lotan Shilo – 2002”). [2] (full text)
Case report
Descriviamo il caso clinico di una donna di 56 anni, affetta da sindrome depressiva ed ipotiroidismo, in trattamento con Ls (50 mcg/die) da circa tre anni, che ha sviluppato un quadro drammatico di insufficienza multiorgano dopo assunzione volontaria di dosi massive di Ls (2000-2500 mcg in 6-7 giorni). Giungeva in Pronto Soccorso per epigastralgia e vomito da alcuni giorni con progressivo decadimento delle condizioni generali. Veniva ricoverata in Medicina per severa disidratazione, squilibrio elettrolitico, oliguria, ipotensione e stato soporoso e, dopo poche ore, veniva trasferita in Rianimazione per peggioramento dello stato di coscienza. La paziente all’ingresso si presentava in coma (Glasgow coma scale 9), emodinamicamente instabile (PA 80/65 mmHg), tachicardica, in midriasi fissa ed oligoanurica. Gli esami ematochimici mettevano in evidenza ipertiroidismo: FT3 1.87 pg/ml (v.n.2.5-4.0), FT4 43.6 pg/ml (v.n.5.4-12.40), TSH 0.50 mcU/ml (v.n.0.250-4.200), alterati indici di funzionalità epatica GOT 9491 U/L (v.n. 1-35), GPT 12718 U/L (v.n 12-40) GammaGT 112 U/L (v.n.5-40); Bilirubina totale 4.2 mg/dl (v.n. 0.40-1.40), diretta 2.22 mg/dl, attività Protrombinica 34%, ammoniemia 108 mcg/dl (v.n. 16-60), insufficienza renale: creatinina 4.56 mg/dl, uricemia 10.7 mg/dl, iposodiemia 125 mEq/L ed ipopotassiemia 2.9 mEq/L, ferritina 3306 ng/ml, D-Dimeri 6893 (v.n.< 450), P.C.R. 8.76 mg/dl. Diuresi scarsa (100 cc) urine ipercromiche, proteinuria 300 mg/dl, microematuria. Negativi i test virali per epatite A, B e C, Citomegalovirus, Epstein-Barr virus, autoanticorpi antinucleo, antimitocondrio, antimicrosomi epatici e renali. L’Rx torace mostrava un’accentuazione del disegno interstiziale, non lesioni parenchimali, falda di versamento pleurico basale bilaterale (figura 2). Ecografia addome e TC encefalo negativi. Iniziava prontamente terapia infusionale e con amine vasoattive (Dopamina 4 ɣ/Kg/min) per stabilizzare il quadro emodinamico e correggere lo squilibrio elettrolitico la paziente è stata sottoposta a due sedute di plasmaferesi terapeutica (figura 3) con riduzione dei valori di funzionalità tiroidea come evidente nella figura 4. Persistendo l’oligoanuria, la paziente è stata sottoposta dapprima, a trattamento sostitutivo continuo in CVVHDF e, successivamente, a sedute emodialitiche in HDF-online. Durante la degenza, per la comparsa di febbre con emocoltura positiva per Candida è stata sottoposta a terapia con Fluconazolo 400 mg/die per 7 giorni con beneficio. Nei giorni seguenti, in seguito al graduale miglioramento delle condizioni generali con recupero soddisfacente del quadro neurologico, la paziente veniva trasferita in Nefrologia. Dopo otto giorni si assisteva alla ripresa della diuresi con netto miglioramento clinico e laboratoristico e nei giorni successivi alla normalizzazione della funzione epatica e renale (figura 5).
Discussione
La maggior parte dei casi di sovradosaggio di Ls descritti in letteratura sono riferiti all’età pediatrica ed hanno un decorso benigno (“Nima Majlesi – 2010”) [3] (full text). Si presentano senza alcuna sintomatologia o con febbre, tachicardia, ipertensione e/o irritabilità. Al contrario, nell’adulto i dati in letteratura sono molto scarsi, l’assunzione è volontaria, a scopo suicida, e i sintomi sono molto più severi. In genere la sintomatologia varia, in relazione alla dose ingerita, da iniziali segni di ipertiroidismo (insonnia, nervosismo, irritabilità, tremori, incremento della temperatura corporea, ipertensione arteriosa, tachicardia) sino alla crisi tireotossica conclamata (psicosi, convulsioni, coma, aritmie e insufficienza cardiaca), all’ ipertemia maligna, al danno epatico sino alla tempesta tiroidea. Il management dei casi di intossicazione da Ls prevede misure terapeutiche diverse a seconda delle manifestazioni cliniche riservando le procedure invasive (emoperfusione con filtro a carbone e plasmaferesi) ai casi di severa compromissione multiorgano come riportato nella figura 6 (“Josephine Ho – 2011”) [4] (full text),(“Binimelis J – 1987”) [5] (“Kreisner E – 2010”) [6]. Non ci sono linee guida per la gestione dei casi di intossicazione da Ls nell’adulto (“Sara J – 1993”). [7] Tuttavia pur non essendoci in letteratura molte evidenze circa l’uso della plasmaferesi abbiamo deciso questa strategia terapeutica sulla scorta della gravità del quadro clinico, della giovane età della donna e dell’utilizzo sempre più frequente della plasmaferesi come metodo di disintossicazione in tossicologia clinica (intossicazioni da funghi, da farmaci quali antidepressivi triciclici, verapamil, diltiazem, teofillina e metalli pesanti) (“Van Huekelom 1979”) [8],Nenov VD- 2003 [9] (full text)
Conclusioni
Il caso clinico descritto focalizza l’attenzione sulla severità delle complicanze da intossicazione da Ls e sulla necessità di una gestione multidisciplinare rimarcando il ruolo centrale dell’applicazione clinica della plasmaferesi, (“Horn K -1976 [10]“) il cui utilizzo razionale, nei casi di severa tireotossicosi, deriva dall’evidenza di un alto legame con le proteine plasmatiche ed un basso volume di distribuzione della Ls. Infatti la plasmaferesi è ragionevolmente la migliore opzione disponibile rispetto all’emodialisi o all’emoperfusione.