Induzione della remissione con Rituximab (RTX) in alternativa a Ciclofosfamide (CYC) in pazienti con poliangioite microscopica (MPA) e glomerulonefrite rapidamente progressiva (RPGN)

Razionale

La poliangioite microscopica ( MPA) colpisce tipicamente i pazienti anziani. La malattia renale è la manifestazione dominante. Le manifestazioni extrarenali sono più rare ed i sintomi sistemici sono spesso minimi ed aspecifici e questo contribuisce a rendere la diagnosi tardiva. Frequentemente la MPA si sviluppa sullo sfondo di una o più comorbidità (ad esempio malattie cardiovascolari, diabete e tumori maligni) che spesso comportano, di per sé, una riduzione della funzione renale di base.

La terapia immunosoppressiva in questi pazienti è più facilmente gravata da importanti complicanze. Le complicanze della terapia, piuttosto che le manifestazioni cliniche della malattia, contribuiscono in maniera sostanziale alla mortalità precoce. Due studi hanno recentemente dimostrato pari efficacia di RTX e CYC nell’indurre la remissione. Rispetto a CYC, RTX per la sua azione immunodepressiva più selettiva, potrebbe risultare più sicuro.

Casistica e Metodi

Abbiamo analizzato retrospettivamente i casi di MPA complicata da RPGN trattati con RTX come terapia di induzione.

Risultati

Da giugno 2010 a settembre 2015 sono stati trattati con rituximab 44 pazienti: M/F 23/21; l’età media era di 70±14.4 anni; 38 (86%) pazienti presentavano ANCA anti-MPO; 35 (80%) erano all’esordio della malattia, 9 (10%) ad una recidiva; 9 (20%) presentavano emorragia alveolare diffusa (Figura 1). La dose totale media di rituximab per paziente era di 1.5 g. 

In associazione al rituximab, tutti i pazienti ricevevano trattamento con steroide per os (1 mg/Kg scalato a 10 mg/die entro 3 mesi). 12 pazienti (27%), 8 inclusi nel trial PEXIVAS, ricevevano come terapia aggiuntiva 3 boli di steroide (in genere dose totale media di 1000mg). 17 pazienti (39%) ricevevano terapia aggiuntiva con plasmaferesi, 8 tra questi (18%) ricevevano anche trattamento con boli di steroide. Nessun paziente riceveva ciclofosfamide in concomitanza di rituximab.

Tutti i pazienti ricevevano terapia di mantenimento con steroide in dose inferiore a 10 mg/die, 6 pazienti (14%) ricevevano anche basse dosi di farmaco immuno-soppressore (4 AZA, 2 MTX). 

Al momento del trattamento 23 pazienti (52%) avevano un eGFR <15 ml/min (7 richiedevano dialisi); 13 (30%) tra i 15 e i 29 ml/min, 7 (16%) tra 30 e 59 ml/min, 1 (2%) tra i 60 e 89 ml/min (Figura 2). A 6 mesi dal trattamento con rituximab, era evidente il recupero della funzione renale (Figura 3). A fine follow-up, dei 37 pazienti con un periodo di osservazione maggiore di 6 mesi, 27 pazienti sono viventi e 24 non necessitano di dialisi: 1 con eGFR <15 ml/min, 9 tra 15 e 29 ml/min, 11 tra 30 e 59 ml/min, 2 tra i 60 e 89 ml/min, 1 > 89 ml/min (Figura4). 

Nel periodo di osservazione (follow-up medio di 24± 17.8 mesi) 10 pazienti (23%) sono deceduti, di cui 4 nei primi tre mesi (tutti in dialisi) e 6 a distanza media di 26 mesi (3 in dialisi) (Figura 5).

Dei 7 (16%) che richiedevano dialisi all’esordio 6 sono deceduti, uno è tuttora in dialisi.

3 pazienti hanno iniziato la dialisi a distanza (13, 20, 57 mesi) (Figura 6).

Conclusioni

Nella nostra esperienza l’induzione della remissione con RTX si è dimostrata efficace nel recupero della funzione renale, confermando quanto riportato in letteratura, ossia che il rituximab sostituisce efficacemente la ciclofosfamide.

La mortalità ad un anno da noi osservata, parametro che esprime principalmente la tossicità della terapia, pari al 14%, è risultata sensibilmente inferiore a quella riportata nella letteratura recente, confermando il miglior profilo di sicurezza del rituximab.

Anche nel nostro studio, la severità dell’insufficienza renale, in particolare la necessità di dialisi, contribuisce in maniera significativa alla mortalità.