Immunosoppressori ed antivirali per il virus dell’epatite C: efficacia e sicurezza in un trapiantato renale

Razionale

L’infezione da virus C dell’epatite (HCV) rappresenta una delle principali cause di malattia cronica del fegato, con una evoluzione della patologia epatica che va da alterazioni minime del tessuto epatico, a fibrosi severa, cirrosi epatica, aumentato rischio di carcinoma epatocellulare e morte.

Diversi studi hanno dimostrato un aumentato rischio di morte nei pazienti con malattia renale cronica, in particolare in quelli in trattamento sostitutivo, sia esso dialitico o portatori di graft renale. Inoltre, nella popolazione generale l’infezione da HCV sembra associarsi ad un aumentato rischio di incorrere in nefropatia cronica (Fabrizi F – 2014 [1]).

L’introduzione dei nuovi farmaci antivirali orali, inibitori delle proteasi del virus C dell’epatite, hanno aperto un nuovo capitolo nella terapia di questa malattia.

Tali farmaci sono in grado di modificare il decorso della malattia: l’eradicazione dell’infezione da HCV impedisce la progressione della malattia verso gli stadi più avanzati come la cirrosi e le sue temibili complicanze. La sustained virologic response (SVR), definita come il mancato rilevamento di RNA di HCV nel siero a 12 settimane dall’interruzione del trattamento, risulta essere maggiore del 90% e rappresenta l’end-point di una terapia di successo. 

È ancora limitata la letteratura riguardo l’utilizzo di tali farmaci antivirali orali ad azione diretta, inibitori delle proteasi del virus C, nei trapiantati renali HCV positivi, ed in particolare pochi sono i dati sulla loro sicurezza in questa classe di pazienti, sulle interazioni farmacologiche con gli immunosoppressori ed del loro impatto sul graft.

Caso clinico

Descriviamo il caso di una paziente di 58 anni, portatrice di malattia policistica, trapiantata renale da donatore deceduto nel settembre 2004 dopo nefrectomia bilaterale nel 2003 per ingombro addominale da reni policistici e precedente trattamento dialitico dal 1997 al 2004. In anamnesi si segnala ipertensione arteriosa, cardiopatia ipertensiva, osteoporosi.

La diagnosi di infezione da virus dell’epatite C veniva posta nel 2000 (genotipo 1b, HCVRNA pari a 37.600 UI/mL). La fonte del contagio non era nota. La biopsia epatica eseguita nel 2001 descriveva epatite cronica di lieve entità.

In seguito al riscontro di ipertransaminasemia, da verosimilmente citolisi epatica virus C correlata,

eseguiva elastografia nell’ottobre 2015, da cui emergeva fibrosi evoluta (F3 sec. METAVIR). Si decideva pertanto di iniziare in data 13/11/2015 il trattamento con antivirali orali ad azione diretta.

La terapia immunosoppressiva stabilizzata, prima dell’inizio del trattamento con gli antivirali, prevedeva advagraf (tacrolimus) 1,5 mg ore 8 e micofenolato mofetile 180 mg 1 cp. Inoltre assumeva gaviscon 1 bustina x2-3/die, amlodipina 5 mg 1 cp/die, ramipril 2.5 mg 1 cp/die, calcitriolo 0.25 mcg 1 cp/die, acido acetilsalicilico 100 mg x2/settimana, colecalciferolo XV gtt x1/settimana.

Lo schema antivirale impostato teneva conto delle possibili interferenze farmacologiche con gli immunosoppressori alla luce di quanto recentemente emerso in letteratura: prevedeva assunzione di harvoni (90 mg di Ledipasvir e 400 mg di Sofosbuvir) 1 cp al giorno per 12 settimane e ribavirina 400 mg x 2 per 12 settimane. Il ciclo terapeutico terminava il 6 febbraio 2016.

Risultati

Il trattamento con antivirali ad azione diretta veniva ben tollerato dalla paziente.

In seguito all’inizio della terapia antivirale si osservava una rapida discesa della viremia (vedi Figura 1), azzerandosi al controllo di gennaio 2016 e mantenendosi negativa nei successivi (SVR4, SVR8 e SVR12) e ad oggi.

La funzione renale si è mantenuta stabile (creatininemia 1,21-1,36 mg/dl).

Il dosaggio della tacrolimus sierico si è mantenuto in range terapeutico, con necessità di un singolo aggiustamento nella posologia dell’advagraf dopo 4 settimane dall’inizio della terapia antivirale (tacrolimus aumentato da 1,5 mg a 2 mg). Tale dato risulta in linea con l’emergente letteratura a riguardo (Sawinski D – 2016 [2]).

Non vi sono da segnalare effetti nell’interazione con gli altri farmaci immunosoppressori (micofenolato mofetile).

Si segnalano infezioni urinarie ricorrenti (non correlabili ai farmaci antivirali) con urinocolture positive per E.Coli, risolte con l’assunzione di terapia antibiotica. Inoltre si osservava anemia normocitica (da 11.2 a 9.9 di Hb) scarsamente sintomatica (riferita lieve astenia). Nonostante l’anemia sia segnalata come possibile evento avverso in pazienti nefropatici in seguito all’utilizzo di altri tipi di antivirali diretti (quali ombitasvir, paritaprevir, ritonavir e desabuvir) (Pockros P -2016) [3] (full text), sembra in questo caso verosimilmente secondaria all’assunzione di ribavirina. Tale riscontro laboratoristico richiedeva minimo aggiustamento della posologia della ribavirina con riduzione della dose giornaliera. In seguito al termine del trattamento antivirale l’emoglobina si stabilizzava su valori di 11,5 g/dl-12 g/dl.

Conclusioni

Nella nostra esperienza, sebbene limitata a singoli casi, i nuovi antivirali ed in particolare il Sofosbuvir sono risultati essere dei farmaci efficaci (SVR elevata), sicuri (funzione renale stabile) e maneggevoli (non eventi avversi, effetti collaterali lievi, gestibili e risolti a fine trattamento) in pazienti portatori di graft renale in terapia immunosoppressiva.