ESISTE ANCORA IL “PAZIENTE DA CAL”? ANALISI DELLA POPOLAZIONE DI UN CAL IN UN ANNO DI OSSERVAZIONE

Introduzione

Un centro ad assistenza limitata (CAL) è sempre stato, per definizione, un centro dialisi, generalmente decentrato, dove vengono trattati, in regime dialitico diurno, pazienti uremici cronici selezionati e clinicamente stabili.

I pazienti sono avviati al trattamento dall’Unità Operativa di riferimento, cui spetta la responsabilità della gestione clinica dei pazienti.

La continuità assistenziale è garantita dal personale infermieristico e il medico nefrologo è presente in maniera programmata ma non continuativa.

L’idoneità a dializzare in un CAL si basa in genere sulla maggiore stabilità clinica durante la seduta e nell’immediato periodo post-dialisi. Dovrebbe rappresentare la coniugazione della miglior collocazione logistica con la miglior assistenza possibile, tenuto conto della situazione clinica, socio familiare  e residenziale [1].

Originariamente l’assistenza “limitata” era legata alla partecipazione dei pazienti al loro trattamento a vari livelli (preparazione della postazione dialitica e della macchina, gestione degli allarmi semplici), fino all’autodialisi.

Con il passare degli anni, per il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento delle condizioni co-morbide, sono cambiate le caratteristiche  cliniche dei pazienti, diventati sempre più dipendenti dall’assistenza infermieristica, con conseguente maggior difficoltà al loro arruolamento in una struttura decentrata.

In considerazione di ciò e delle indicazioni stilate dalla Commissione di Organizzazione dei Servizi di Nefrologia, Dialisi e Trapianto della SIN per la rete nefrologica italiana, la dizione di CAL (e CAD) viene sostituita con quella di Centri satellite, considerando artificiosa la vecchia definizione di assistenza medica decentrata  e assistenza limitata, in quanto la principale funzione di questi centri diventa quella di “avvicinarsi” alla sede del paziente, al fine di ampliare sul territorio la rete nefrologica dipendente da una unica struttura.

A tutt’oggi questo cambiamento di identità dei centri extra-ospedalieri è, in alcune realtà, più virtuale che reale, per cui i criteri di arruolamento restano non solo quelli clinici, ma sempre più spesso quelli organizzativi, legati alla carenza di posti dialisi ospedalieri.

Casistica e metodica

Nel nostro CAL, dotato di nove posti tecnici occupati 6 giorni alla settimana su due turni, abbiamo valutato, nell’arco temporale di un anno, le caratteristiche cliniche e il grado di autosufficienza dei pazienti in carico per valutare, in un periodo di tempo determinato, le variazioni dei parametri presi in considerazione.

Abbiamo osservato 33 pazienti (21 maschi e 12 femmine) di età media 64 anni (range 33-84) ed età dialitica 70,3 mesi (range 3-221) (Figura 1). La nefropatia di base era: diabete in 8 pz, nefroangiosclerosi in 5, rene policistico in 2, non diagnosticata in 5, IgA in 3, GNC in 3, GSF in 2, PNC in 2, LES, Vasculite ed ereditaria rispettivamente in 1 (Figura 2).

Abbiamo valutato la presenza di  patologie co-morbide (ipertensione arteriosa, diabete mellito, arteriopatia periferica grave/critica, cardiopatia ischemica e/o dilatativa, aritmie, vasculopatia cerebrale, neoplasie attuali o pregresse) e la condizione di autosufficienza rielaborando il “Modello delle prestazioni infermieristiche” di M. Cantarelli (Figura 3).

I pazienti, in base a uno score rilevato dall’analisi dei singoli bisogni (punteggio da 0 a 2), sono stati suddivisi in 3 gruppi: autosufficienti (score 0), parzialmente autosufficienti (score da 1  a 9), non autosufficienti (score da10 a18) (Figura 4).

L’osservazione si è protratta per un anno e sono stati rilevati i cambiamenti nei parametri sopra riportati, sia per le condizioni co-morbide che per il grado di autosufficienza.

Risultati

I risultati sono riportati nella Figura 5 e mostrano le variazioni cliniche in percentuale dal momento dell’arruolamento al termine dello studio.

Le condizioni co-morbide erano nella maggior parte dei pazienti coesistenti. Al termine del periodo di osservazione i pazienti seguiti erano 27 (3 deceduti, 2 trasferiti al centro, 1 trasferitosi per motivi personali, 1 trapiantato, 1 arruolata). Nel corso dell’anno ci sono stati 21 ricoveri in 14 pazienti.

Per quanto riguarda la condizione di non autosufficienza, pur nella difficoltà della definizione e quindi della necessità di utilizzare una delle innumerevoli classificazioni (la scelta è caduta sul ”Modello delle prestazioni infermieristiche” di Marisa Cantarelli) abbiamo osservato come la percentuale di pazienti autosufficienti si è ridotta in un anno dell’8.7%, la percentuale di pazienti parzialmente autosufficienti è aumentata dal 60.6% al 77.7% a spese degli autosufficienti, mentre i pazienti non autosufficienti si sono ridotti dell’8,4% (Figura 6). Quest’ultimo dato è ovviamente imputabile non certo al miglioramento delle condizioni cliniche, ma al trasferimento al centro dei pazienti più gravi o al decesso.

Discussione

In accordo con i dati della letteratura [2], il 33.3% dei pazienti aveva un’età compresa fra 60 e 70 anni, ma il 45.4%, quindi circa la metà dei pazienti trattati, aveva un’età superiore ai 70 anni. Anche nei nostri pazienti i principali fattori di rischio per la sopravvivenza in dialisi erano rappresentati dall’ipertensione (84.8%) e dal diabete (30.3%) [3] [4] (full text).

3 pazienti avevano subito amputazioni di diverso grado a gli arti inferiori e nonostante ciò erano trattati al CAL. Di questi 2 sono deceduti; il terzo decesso è stato per altre cause.

Dall’analisi dei dati del Registro Lombardo di Dialisi e Trapianto emerge, tra le altre, la progressiva tendenza, specialmente negli ultimi 8-10 anni, alla centralizzazione del trattamento negli ospedali [5], legate verosimilmente alle mutate caratteristiche della popolazioni (aumento dell’età media, crescente co-morbilità, aumentata prevalenza della malattia diabetica). Se a questo si aggiunge la scompasa o quasi dei trattamenti domiciliari e il mancato incremento della dialisi peritoneale sia manuale che automatizzata, si comprende come il ricorso alle tecniche dialitiche extracorporee sia sempre maggiore. Pertanto i CAL, o se vogliamo utilizzare la definizione più moderna i Centri satellite, continuano a rappresentare  una grossa valvola di sfogo al sovraffollamento dei centri dialisi ospedalieri. 

Le definizioni di non autosufficienza utilizzate da enti, istituzioni e associazioni sia nazionali che internazionali sono molteplici. Tutte hanno in comune e sottolineano una riduzione dell’autonomia personale e delle capacità funzionali che, spesso associate a problemi economici e sociali, implicano una modificazione nell’organizzazione della vita e la necessità di un aiuto esterno. Nell’ambito prettamente infermieristico il Modello delle prestazione di M. Cantarelli è quello che maggiormente tiene in considerazione la non autosufficienza e pone l’accento sul ruolo dell’infermiere nella risposta ai bisogni di assistenza.

La necessità di assistere sempre più pazienti, sempre più anziani, in condizioni cliniche sempre più critiche, fa sì che la selezione per l’invio nei CAL diventi sempre meno rigorosa. Attualmente si dializzano nei CAL pazienti che solo qualche anno fa sarebbe stato impensabile trattare. È verosimile che permanendo e probabilmente peggiorando la tipologia dei pazienti, non si possa più definire  l’assistenza erogata nei CAL come a “bassa intensità”, con inevitabili implicazioni di adeguamenti strutturali e organizzativi.