INTRODUZIONE
Da anni si dibatte su quale sia l’ approccio migliore al trattamento sostitutivo dell’ IRC: se un approccio “tradizionale” che prevede l’inizio della dialisi solo quando la terapia conservativa non è più in grado di controllare i sintomi dell’uremia, o un approccio “precoce” al fine di evitare la comparsa di sintomi uremici e le relative conseguenze (Wright S – 2010 [1] (full text)). Entrambi gli approcci dovrebbero controllare i sintomi uremici, prevenire la malnutrizione, ridurre al minimo la morbilità e la mortalità. Se da un lato non ci sono dubbi sulla necessità di iniziare la dialisi in pazienti con una pericardite acuta, un’encefalopatia uremica, e/o manifestazioni cliniche non suscettibili di terapia medica quale sovraccarico di volume, insufficienza cardiaca congestizia, ipertensione arteriosa, iperkaliemia, acidosi metabolica o patologie gastroenteriche, meno chiaro è quando iniziare la dialisi in pazienti nei quali la progressione dell’insufficienza renale è più lenta e le manifestazioni cliniche meno evidenti, in quanto lo stile di vita tende ad adattarsi al decremento delle energie. Gli argomenti a sostegno di entrambe le strategie sono molti, per cui non c’è ancora accordo su quale sia il momento ideale per cominciare la dialisi e ancora si dibatte sui vantaggi o meno di un inizio precoce del trattamento dialitico, per la mancanza di dati certi su un miglioramento dell’outcome a lungo termine.
Sempre più numerose sono le osservazioni cliniche che suggeriscono come l’inizio precoce della dialisi, attraverso un approccio incrementale, possa ridurre considerevolmente i sintomi uremici e conseguentemente ridurre la morbilità e la mortalità (Casino – 2010 [2]) . Tradizionalmente gli indicatori per l’inizio del trattamento sostitutivo erano i segni e i sintomi dell’uremia insieme ai parametri ematochimici di funzione renale, primo dei quali il GFR. Non esistono ancora, tuttavia, studi che indichino un valore di GFR al di sotto del quale è indicato l’inizio della dialisi. Un’indicazione all’inizio della terapia dialitica che trova d’accordo la maggior parte dei clinici è la comparsa di segni e sintomi di malnutrizione, che è noto essere associata ad un aumento sia della morbilità che della mortalità. (Hakim RM – 1995 [3] (full text); Rajnish Mehrotra – 1998 [4]). Studi osservazionali e caso-controllo hanno suggerito come l’inizio precoce della dialisi possa migliorare la sopravvivenza del paziente, la sua qualità di vita e la capacità lavorativa con una riduzione delle complicanze. Studi più recenti contraddicono queste evidenze (Cooper BA – 2010 [5] (full text)) per cui risulta chiaro che la scelta dell’inizio della dialisi viene lasciata al clinico che valuterà, nel singolo paziente, i rischi e i benefici di un inizio precoce o meno del trattamento (National Kidney Foundation – K/DOQI Clinical Practice Guidelines – 2006)
La Dialisi Peritoneale Incrementale (DPI) prevede l’inizio della terapia sostitutiva con una bassa dose dialitica, in rapporto alla funzione renale residua (Golper TA – 1998 [6]; Chandna SM – 2004 [7]). Col deterioramento della funzione renale residua, la dose dialitica verrà progressivamente aumentata, al fine di mantenere la depurazione nei range di adeguatezza (Caravaca F – 1999 [8] (full text)). Anche su questo non c’è accordo fra i vari autori, per la mancanza di studi in grado di definire con assoluta certezza i vantaggi e gli svantaggi di un inizio della DPI rispetto all’inizio della DP a dosi piene (De Vecchi AF – 2000 [9] (full text); Burkart JM – 2000 [10] (full text); Foggensteiner L – 2002 [11] (full text)). Sicuramente questa strategia dialitica è ben accettata dai pazienti per il minor impatto sulla qualità di vita e sulla possibilità di proseguire il lavoro.
SCOPO DEL LAVORO
Verificare gli effetti di un inizio incrementale della dialisi peritoneale sulla funzione renale residua, sullo stato nutrizionale, sull’adeguatezza dialitica, sulla morbilità e mortalità e sulla qualità della vita in un in un gruppo di pazienti afferenti al nostro centro in un periodo di 7 anni.
MATERIALI E METODI
Dal febbraio 2005 a gennaio 2012, 15 pazienti (12 maschi e 3 femmina) sono stati inseriti in dialisi peritoneale manuale con dosi dialitiche incrementali. I pazienti avevano un’età anagrafica media di 55 ±12.98 anni (range 32-71) (Figura 1).
5 pazienti hanno iniziato trattamento dialitico peritoneale con uno scambio al giorno, 6 con due, 4 con 3; 2 pazienti provenivano dall’emodialisi per desiderio di autosufficienza (Figura 2). 7 pazienti lavoravano a tempo pieno, 6 erano pensionati e 2 casalinghe.
La nefropatia di base era:
- nefropatia IgA in 4 pazienti,
- GNC in 3 pazienti,
- nefroangiosclerosi in 2 pazienti;
- negli altri 6 pazienti erano presenti:
- 1 sindrome di Alport,
- 1 PNC,
- 1 nefropatia non diagnosticata,
- 1 nefropatia diabetica,
- 1 nefropatia da analgesici,
- 1 GSF.
All’inizio del trattamento i parametri medi erano i seguenti:
peso Kg | 65.59±7.74 (range 50-75) |
diuresi 24 ore ml | 1713,33±521,15 (range 550-2250) |
eGFR ml/min | 7.74±3.23 (range 1.64-12.08) |
KT/V | > 2 (2.28±0.31; range 1.60-2.85) |
clearance della creatinina (corretta per per la superficie corporea) | 99.32±22.61 (range 62.02-135.03) |
albuminemia mg/dl | 3.79±0.38 (range 3.14-4.46) |
nPCR g/Kg/die | 1.2±0.30 (range 0.71-1.95) |
Il GFR, il KT/V settimanale, le clearance settimanali dell’urea e della creatinina, la nPCR sono stati valutati ogni 3 mesi e il mese successivo ad ogni variazione di prescrizione dialitica. Ogni mese sono stati eseguiti gli esami di routine.
RISULTATI
I risultati sono riportati nella Figura 3: la concentrazione media di albumina e di nPRC è rimasta stabile, così come i valori medi settimanali di KT/V (Figura 4) e di clearance della BUN, mentre abbiamo assistito ad una riduzione statisticamente significativa (p< 0,05) del eGFR e consensualmente della clearance della creatinina. La diuresi è rimasta efficace in tutti i pazienti senza differenze statisticamente significative fra inizio del trattamento e fine del periodo di osservazione; l’uso di Icodestrina è stato limitato a 4 di loro.
Al termine del periodo di osservazione (24,40±19,37 mesi; range 3-77), 11 pazienti su 15 sono ancora in trattamento, 4 sono stati trapiantati, nessuno è deceduto e nessuno è passato all’emodialisi. Un paziente è rimasto a 1 scambio,7 a 2 scambi, 5 a 3 scambi e 2 sono arrivati a 4 scambi con uno schema classico CAPD (Figura 2).
6 pazienti sono stati ricoverati per un totale di 51 giorni di degenza (Figura 5); gli episodi di peritonite sono stati 7 in 5 pazienti, 2 a coltura sterile (Figura 6); 4 pazienti sono inseriti in lista attiva di trapianto, 3 stanno completando gli accertamenti per l’inserimento.
I 7 pazienti inseriti nella vita lavorativa hanno continuato a svolgere la loro attività a tempo pieno, i pazienti che non lavoravano (6 pensionati e 2 casalinghe) hanno mantenuto inalterato il loro stile di vita.
Nei pazienti che hanno iniziatola DPcon una FRR maggiormente compromessa, è stato possibile applicare uno schema dialitico incrementale, arrivando ad un dosaggio pieno di dialisi in maniera progressiva. Questo è servito a prendere “confidenza” con la metodica e ad accettare con maggior consapevolezza, quando si è reso necessario, un aumento della dose dialitica (Bertoli SV – 2010 [12]).
CONCLUSIONI
Nella nostra esperienza la DPI si è dimostrata efficace nel mantenimento della FRR e dello stato nutrizionale a livelli soddisfacenti. E’ stata ben accettata dai pazienti in quanto ha condizionato solo marginalmente le loro abitudini di vita e lavorative. Le complicanze e le ospedalizzazioni sono state poche. Nessun paziente è deceduto. I pazienti sottoposti a trapianto hanno mantenuto intatto l’albero vascolare (Domenici A – 2011 [13] (full text)); solo in 2 dei 15 pazienti era stata allestita una FAV (non funzionante) prima della scelta della DP. I 2 pazienti provenienti dall’emodialisi erano stati dializzati attraverso un CVC.