CASO CLINICO: DIALISI PERITONEALE IN PAZIENTE PLURITRAPIANTATA

INTRODUZIONE

A fronte dei progressi nella terapia immunosoppressiva, che  negli ultimi decenni hanno  portato all’ allungamento della sopravvivenza del trapianto renale, i dati a lungo termine non sono altrettanto confortanti (” Meier-Kriesche HU 2004 [1]“). Dati dei registri americani (USRDS 2007) riportano una percentuale annua di fallimento del trapianto renale pari al 4%. Considerando anche la contemporanea espansione della attivita’ trapiantologica , la popolazione dei pazienti trapiantati che rientra in dialisi e’ in crescita (“Langone AJ-2005 [2]“) (“Messa P- 2008 [3] (full text). Nonostante numerose  evidenze nella letteratura recente che indicano la dialisi peritoneale (DP) come terapia dialitica valida per questi pazienti (“Mujais S-2006 [4]“) (“Bammens B- 2006 [5] (full text), la sua penetrazione in questa popolazione è relativamente  bassa. I dati italiani del GSDP 2008 riportano una incidenza del 10% di pazienti provenienti dal trapianto; nella Regione Toscana  l’Audit del GSDP del 2010 ne ha segnalato  l’ 1%. Incertezze sulla sua sicurezza e adeguatezza potrebbero spiegare questo fatto. Scarsi e controversi tutt’ora anche i dati relativi agli outcomes quali la sopravvivenza globale, la sopravvivenza dal trapianto funzionante e i problemi clinici ed emotivi del soggetto trapiantato (“Knoll G-2005 [6]” “Gill JS-2002 [7] (full text)“)  .

SCOPO DEL LAVORO

Riportiamo il caso clinico, non comune, di una donna  che ha effettuato DP dopo il secondo trapianto di rene da donatore cadavere e anche dopo l’espianto del  secondo  graft per neoplasia. Descriviamo il follow-up chirurgico, la terapia dialitica e le problematiche cliniche e psicologiche, a nostro giudizio rilevanti.

MATERIALI E METODI

Femmina di 42 aa, sposata con un figlio. All’età di 12 anni viene posta diagnosi di IgA Nephropathy a rapida evoluzione. Inizia trattamento emodialitico e dopo un anno esegue trapianto da donatore cadavere. Dopo sei mesi si verificano rigetto acuto ed espianto del graft. Per sette anni esegue emodialisi e nel 1990 (a dieci anni esatti dal primo trapianto) esegue secondo trapianto da donatore cadavere presso Centro Universitario di Liegi. Nel 2002 compare un quadro di nefropatia cronica progressiva del trapianto e nel gennaio 2010 inizia DP con schema incrementale (“Domenici A -2011 [8] (full text)“) . Durante gli accertamenti per idoneità a re-trapianto presso il Centro Trapianti di Siena viene effettuata diagnosi ecografica di formazione nodulare solida al polo superiore del secondo rene trapiantato. Tale formazione era stata precedentemente interpretata in altra sede come cisti complicata. Nel settembre 2011 la paziente viene sottoposta a Siena ad espianto del graft: la neoformazione all’esame istologico è risultata un “carcinoma a cellule renali” in parte capsulato senza documentabile infiltrazione neoplastica del tessuto adiposo. Il catetere peritoneale viene mantenuto in sede e permette alla paziente, dopo un breve perido di shift a emodialisi nell’immediato postoperatorio, di riprendere con successo la DP a lungo termine.

RISULTATI

Follow up chirurgico: si è verificato un modesto ematoma retroperitoneale a risoluzione spontanea. Il catetere peritoneale ha mantenuto regolare pervietà. Durante la degenza chirurgica sono stati praticati lavaggi con break-in di soluzioni a temperatura ambiente per la presenza di temporaneo sanguinamento.

Follow-up dialitico: è stata praticata terapia emodialitica temporanea per due settimane, poi regolare ripresa di APD con schema dialitico notturno con soluzioni standard e carico diurno di 1000 ml di  extraneal. Kt/v settimanale=1.99; UF 1500-1800 ml/die.

Follow-up clinico: dall’espianto  del graft sono stati  necessari ripetuti ricoveri, principalmente dovuti alla anemizzazione nonostante la terapia con ESA, alla sindrome da deprivazione cortisonica (febbre, sindrome pseudoreumatica, grave sindrome depressiva (“Akmnan B-2004 [9]“), alla insorgenza di ipertensione arteriosa importante con segni clinici ed ECG-grafici di ridotta riserva coronarica. Iperfosforemia.

CONCLUSIONI

Nel caso  descritto, non comune, la DP si è confermata metodica dialitica valida e attuabile nel paziente pluritrapiantato ed ha mantenuto la sua efficienza anche dopo la nefrectomia del secondo  graft. Ciò è stato possibile grazie al coinvolgimento multiprofessionale di Nefrologi, Chirurghi e Centro di Coordinamento Trapianto in un programma di terapia dialitica integrata. La forte motivazione della paziente ha svolto ovviamente un ruolo di primo piano nella decisionalità terapeutica. Nonostante i  dati confortanti  di adeguatezza dialitica, si sono rilevate importanti  problematiche cliniche (controllo anemia, incremento del  rischio cardiovascolare, sindrome da deprivazione cortisonica, stato depressivo), che risultano correlate alla condizione clinica generale della paziente ed indipendenti  dalla modalità  di  terapia sostitutiva della funzione renale.