SPONDILODISCITE IN DIALISI: DESCRIZIONE DI UN CASO

INTRODUZIONE

L’impiego dei cateteri venosi centrali tunnellizzati (CVCt) è andato progressivamente crescendo negli ultimi anni nonostante le linee guida delle società scientifiche (KDOQI, DOPPS, EDTA, IDSA) (Goodkin DA [1] [1]– 2010) (Pisoni RL [2] [2] (full text)– 2002) (Tordoir J [3] (full text) – 2007) (Mermel [4] (full text)  raccomandino di limitarne l’impiego a non più del 10% della popolazione dialitica e di preferire la fistola artero-venosa come accesso vascolare definitivo di prima scelta. Questa tendenza è in parte dovuta alle sempre maggiori comorbidità dei pazienti incidenti ed in parte all’invecchiamento della popolazione prevalente con progressivo esaurimento del patrimonio vascolare utile all’allestimento di una fistola artero-venosa su vasi nativi. In Italia nell’ultimo decennio la prevalenza di CVCt è cresciuta dal 10 al 24% (Mandolfo S [5] – 2012).

I pazienti uremici presentano una maggiore suscettibilità alle infezioni dovuta come è noto al concorrere di un deficit dell’immunità cellulo-mediata, della fagocitosi e della produzione di anticorpi. Le infezioni sono responsabili del 12-36% dei casi di morte nei dializzati e rappresentano pertanto la seconda principale causa di morte in questa categoria di pazienti (Vandecasteele J [6] (full text) – 2009).

La presenza di un CVCt costituisce il principale fattore di rischio aggiuntivo per lo sviluppo di batteriemia (Hoen B [7] (full text) – 1998) che spesso è causa di sepsi. I cocchi Gram positivi sono i batteri di più frequente riscontro anche se negli ultimi anni si assiste ad un aumento delle infezioni da enterococco.

Descriviamo un caso di batteriemia complicata dall’ insorgenza di spondilodiscite.

CASO CLINICO

Una paziente di 77 anni, affetta da diabete mellito e cardiopatia ischemica in condizioni cliniche generali molto compromesse ed in trattamento con ED mediante CVCt da sei mesi ha presentato febbre fino a 39°C e dolore al rachide lombare. Gli esami di laboratorio mostravano leucocitosi (15.900/mmc) ed alterazione della PCR (14.2 mg/dl). Le emocolture risultavano positive per Stafilococco Aureo Meticillino Resistente (MRSA). L’Rx torace escludeva addensamenti parenchimali e l’ecografia cardiaca non documentava immagini riferibili a vegetazioni valvolari. Veniva quindi esclusa la diagnosi di endocardite batterica.

Nel sospetto di una localizzazione settica a livello del rachide veniva eseguita una  scintigrafia con leucociti marcati che documentava una captazione del tracciante a livello del rachide lombare. Per una precisazione diagnostica si rendeva quindi indicata l’esecuzione di una  risonanza magnetica (RMN) che  rivelava una iperintensità del segnale in L2 ed L3 con alterazione strutturale del disco intersomatico ed irregolarità della limitante inferiore di L2. Il quadro clinico e strumentale deponeva quindi per una spondilodiscite L2-L3. (Figura 1)

In considerazione delle condizioni cliniche della anziana paziente il neurochirurgo escludeva un programma operatorio. Veniva iniziata terapia antibiotica con vancomicina più rifampicina. Dopo due settimane di terapia si assisteva alla defervescenza, ad una significativa riduzione del dolore al rachide ed alla normalizzazione della conta leucocitaria e della PCR. Negative le emocolture. Il trattamento è stato protratto per complessive 12 settimane. L’RMN di controllo eseguita dopo 12 settimane dal termine della terapia antibiotica mostrava la regressione del quadro ed il parziale crollo del soma di L2 (Figura 2).

DISCUSSIONE

Il presente caso clinico si presta alla discussione di vari aspetti clinici:

Infezioni da stafilococco aureo: L’incidenza di batteriemie nei pazienti in trattamento emodialitico varia 7 a 14.4 episodi per 100 pazienti-anno (Vandecasteele SJ – 2009) e lo Stafilococco Aureo (SA) è il germe più frequentemente isolato (Li [8] (full text) Y – 2009). Le  principali complicanze delle batteriemia da SA includono meningite, endocardite, spondilodiscite ed ascessi metastatici. Inoltre le infezioni da SA sono quelle gravate dal maggior rischio di morte (Danese MD [9] [9]– 2006).

Diagnosi di spondilodiscite: L’esame strumentale dotato della migliore accuratezza nella diagnosi di spondilodiscite è la risonanza magnetica che, se disponibile, va sempre eseguita. Essa mostra infatti aspetti caratteristici come ridotta intensità del segnale del corpo vertebrale e del disco intervertebrale in T1; irregolarità della limitante somatica interessata, aumentata intensità del segnale del disco e dei corpi vertebrali adiacenti in T2; enhancement con mezzo di contrasto.

Necessità di rimozione del CVCt per favorire la guarigione: l’argomento è ancora assai controverso ed esistono studi a favore della rimozione (Kovalik [10] [10]EC – 2002) (Philipner [11]i M – 2003) ed a favore del salvataggio del CVC (Abid S [12] – 2008) (Afshar [13] [13]M – 2011) (Ashby [14] (full text) DR – 2009). Le condizioni cliniche complessivamente compromesse della paziente e la consapevolezza della difficoltà di posizionamento di un nuovo CVC a causa di problemi anatomici hanno guidato la nostra scelta di mantenere in sede il CVCt.

Trattamento: In considerazione della elevata mortalità correlata alle batteriemie da SA nei pazienti in dialisi la terapia antibiotica deve essere iniziata il più precocemente possibile (utilizzando preferenzialmente un’associazione di Vancomicina + aminoglicosidi) e successivamente guidata dall’esito delle emocolture e deve essere protratta per lungo tempo (mediamente 6-12 settimane) per ridurre il più possibile il rischio di recidive.

Trattamento chirurgico: deve essere valutato caso per caso e comunque devono sempre essere tenute in debita considerazione le condizioni cliniche complessive del paziente. Le indicazioni all’intervento comprendono: la comparsa di deficit  neurologici, instabilità o deformità del rachide, rimozione di tessuti necrotici, drenaggio di un ascesso epidurale e mancata risposta alla terapia antibiotica (Hadjipavlou [15] AG – 2000).

CONCLUSIONI

La spondilodiscite rappresenta una complicanza potenzialmente devastante della batteriemia associata all’uso dei CVC in emodialisi. Il sospetto deve essere posto in tutti i pazienti con febbre e dolore al rachide. Un’attenta osservazione delle condizioni cliniche generali del paziente  è molto importante ed il ricorso all’intervento chirurgico deve essere considerato con cautela a causa  del deterioramento osseo tipico dell’anziano in dialisi. L’esecuzione della RMN è indispensabile per una corretta diagnosi. Nel nostro caso la guarigione è stata possibile anche senza la rimozione del CVC.